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Così un gruppo di manager ha sbancato Banca Etruria

Il cda si è limitava a ratificare scelte e decisioni assunte in altre sedi. Tutto il potere era nelle mani della Commissione consiliare informale. L'audit interno sulle sofferenze dell'istituto truccato da 'negativo' a 'parzialmente adeguato'

Così un gruppo di manager ha sbancato Banca Etruria

Per anni Banca Etruria è stata governata nell'ombra. Il consiglio di amministrazione si limitava ad annuire davanti a scelte prese da un manipolo di manager che facevano i propri interessi e non certo quelli della banca. Tanto che la Banca d'Italia arriva a bollare i consiglieri come "un consesso che si è limitato a ratificare scelte e decisioni assunte in altre sedi". Dal dossier di via Nazionale spunta, infatti, che gli esiti degli audit interni venivano magicamente trasformati da "nagtivi" a "parzialmente adeguati". Intanto, però, il buco si allargava di giorno in giorno.

Già dopo la seconda ispezione, che i tecnici di Bankitalia avevano svolto tra il 18 marzo e il 6 settembre 2013, emerge come durante le riunioni del consiglio di amministrazione venivano sottoposti ai consiglieri documenti che non erano mai stati presentati prima e, soprattutto, che non potevano in alcun modo essere stampati. "Il cda ha sostanzialmente abdicato al proprio ruolo - scrive il capo del pool inviato da via Nazionale, Emaniele Gatti - lasciando ampia discrezionalità all'Alta direzione, composta dal direttore generale (Luca Bronchi, ndr) e dall'alta dirigenza munita di poteri delegati". Nel 2014 cambiano i vertici di Banca Etruria. Ma non il modus operandi. Dalla terza ispezione della Banca d'Italia emergono le stesse valutazioni che erano state messe nero su bianco dal team di Gatti.

Durante le indagini condotte tra il novembre 2014 e il febbraio 2015 appare centrale il ruolo della Commissione consiliare informale formata dal presidente Lorenzo Rosi, dai vice Alfredo Berni e Pier Luigi Boschi e dai consiglieri Santoanastaso, Nataloni e Salini. "Discutevano tra loro in privato - sintetizza Fabio Antonacci su Repubblica - poi chiedevano al cda di ratificare ciò che avevano deciso". È il caso, per esempio della fusione della Popolare di Vicenza. "La scelta di non sottoporre al voto dell'Assemblea l'offerta vincolante - scrivono gli ispettori di Bankitalia nel report - non è stata sostanzialmente dibattuta in consiglio, il quale si è limitato a prendere atto della posizione comunicata dal presidente". E ancora: "L'assenza di qualsiasi verbalizzazione delle attività svolte da tale 'commissione' ha concorso a rendere poco trasparente il processo decisionale".

Un esempio lampante sono gli audit interni. "I report - scrivono ancora gli ispettori di Bankitalia - mostravano talvolta una limitata coerenza tra la gravità delle disfunzioni rilevate e il giudizio complessivo". È, per esempio, il caso dell'audit interno sulla gestione dei crediti e delle sofferenze avviato già nel 2012.

Come fa notare il pool di via Nazionale, "le verifiche dell'audit si chiudono con un aggiornamento del giudizio da 'negativo' a 'parzialmente adeguato'".

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