Cronache

"Così l'abbiamo strangolata e gettata viva nella cisterna"

Il 22enne accusato dell'omicidio di Gloria Rosboch: "Lei si lamentava". Le sue ultime parole: "Ma che fai?". Il complice: "Io, servo di Gabriele"

"Così l'abbiamo strangolata e gettata viva nella cisterna"

Il «padrone» e il «servo». Nel raggomitolato gioco di ruoli che lega la trama malata di Gabriele Defilippi (il «padrone»), 22 anni, e Roberto Obert (il «servo»), 53 anni, c'è un filo intessuto di crudeltà. Un ordito di disumanità assoluta, cucita nella seguente frase: «Quando abbiamo gettato Gloria Rosboch nella cisterna era ancora viva e si lamentava». Tutti parleranno, con espressione abusata, di «confessione choc»; in realtà dietro questa frase c'è un orrido ricamo di male intrecciato al male di cui, forse, lo stesso Defilippi non si rende conto. Lui, il giovane finto innamorato, che chiamava «doce Glo» la stessa donna che, di lì a poco, avrebbe strangolato e buttato come un rifiuto in una vasca di acqua putrida. Lui, il «padrone», in combutta col suo «servo». Quel Roberto Obert che ora ha deciso di spezzare le catene, riappropriarsi della propria libertà: «libertà» si fa per dire, perché quello che ha fatto (o di cui è comunque complice) è roba da ergastolo. Ma è vero che esiste anche un'altra libertà, quella della mente: ed è almeno a questa che Obert aspira. Brutto personaggio lo «schiavo»: 53 anni, gli ultimi sei dei quali trascorsi a fare il «fidanzatino maturo» di «Gabri», che a 16 anni già aveva con lui una «relazione sessuale». Tutto venuto fuori nel corso dell'interrogatorio cui il gip di Ivrea ha sottoposto lui, Defilippi e Caterina Abbattista (la madre di Gabriele) confermando i loro arresti per l'omicidio dell'insegnante di Castellamonte, uccisa lo scorso 13 gennaio e il cui cadavere è stato ritrovato venerdì scorso nella cisterna di una discarica del Torinese. Il 22enne, che quel giorno maledetto agì in compagnia dell'amico Roberto Obert, ha raccontato come, prima di essere gettata nella cisterna, Gloria fu spogliata dei suoi indumenti, poi dispersi in punti diversi di Torino. E poi una sfilza di dettagli che nessuno vorrebbe conoscere (soprattutto la famiglia della povera Gloria Rosboch): «Cosa fai?», sono le parole che la vittima, prima di morire, ha rivolto «con un filo di voce» all'ex allievo, Gabriele Defilippi. Obert punta il dito contro il suo baby amante dalle mille identità: «L'ha uccisa lui, cogliendola di sorpresa con un laccio per stendere i panni. Gloria è riuscita ad afferrare la corda con una mano e io gli ho detto ma che c... fai? cercando di afferrare a mia volta la corda, ma lui ha tirava più di noi». Poi «la signora ha perso i sensi, credo abbia solo sussurrato cosa fai? ed è mancata. Arrivati nello spiazzo, Gabriele l'ha tirata giù dall'auto, l'ha messa sul prato e poi ha tirato nuovamente la corda intorno al collo. Io ero terrorizzato, pensavo che Gabriele volesse solo intimorirla». Cioè farla desistere dall'idea di riavere quei 187mila euro che Defilippi era riuscito a sottrarle attraverso una «truffa sentimentale» che faceva perno sulla vulnerabilità psicologica della professoressa. Una donna di 49 anni, trascorsi senza mai un fidanzato, senza mai un uomo che la facesse sentire apprezzata, desiderata. Un'esistenza di solitudine nella villetta da piccolo mondo antico dei suoi anziani genitori: bambole e merletti ovunque, un ordine estremo che può scatenare il disordine della mente. E così, Gloria, che indossava ancora le camicie con gli sbuffi di seta, è finita nella trappola del «padrone»: un ragazzo trasformista come Zeling e malefico come Barbablù. «Mi comportavo come un servo, sia perché affascinato, sia perché impaurito», è la versione (tutt'altro che da prendere per oro colato ndr) di Obert. A differenza di Defilippi, l'uomo sostiene di avere visto l'ex discarica in cui è stato abbandonato il corpo della vittima soltanto «quel 13 gennaio». E nega di avere ricevuto i 187 mila euro della truffa messa a segno nei confronti della vittima. L'uomo ha aggiunto di avere aiutato Defilippi a sbarazzarsi del cadavere «per pietà».

No, in questa storia orribile - almeno la parola «pietà» - nessuno si azzardi a usarla.

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