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Cristiani ospiti in moschea? Gli islamici non li vogliono

Fallisce l'iniziativa di integrazione: le comunità musulmane si chiudono a riccio. Da Roma a Milano, in tanti non ci stanno

Cristiani ospiti in moschea? Gli islamici non li vogliono

Due giorni cruciali, due date simboliche che quest'anno cadono in sequenza: oggi l'anniversario dell'attacco alle Torri Gemelle, domani la ricorrenza islamica di Id al-adha, la festa del sacrificio che le famiglie celebrano scannando pecore e montoni. Per i portavoce italiani dell'Islam moderato era l'occasione per un gesto di pace tra la comunità musulmana e quella cristiana: #cristianinmoschea, era la parola d'ordine lanciata da Foad Aodi, presidente di Co-mai, ovvero le Comunità del mondo arabo in Italia.

Sull'appello di Aodi sono piovute centinaia e centinaia di adesioni, dal mondo sindacale come da quello del volontariato, poi il Consiglio supremo dell'Islam in Italia, le comunità egiziane, il forum delle donne marocchine, eccetera. Ma non sono arrivate quelle cruciali, le più attese: quelle dei grandi centri islamici e delle moschee che operano nelle città italiane. Era l'occasione di scrollarsi una volta per tutte di dosso l'accusa di fiancheggiare l'integralismo, o almeno di stare col piede in due scarpe. L'occasione, purtroppo, è andata persa.

La proposta era quella di aprire le porte dei luoghi di culto islamico ai cristiani in due fasce orarie: dalle 17 alle 20 di oggi per «lo scambio di un messaggio di pace, a favore del dialogo e della conoscenza», e dalle 9 di domani per uno «scambio di auguri» in occasione della festa del sacrificio. Ebbene, nell'elenco delle adesioni diffuso ieri da Co-mai ci sono diciassette moschee. Ma sono tutte realtà di seconda e terza fascia.

Manca la più importante di tutti, la Grande Moschea di Roma, che ha esplicitamente rifiutato di partecipare a #cristianinmoschea. E lo stesso vale per il Centro culturale islamico di viale Jenner, la moschea milanese. Se nella Capitale almeno si può registrare la partecipazione di tre moschee minori, e di altre due in provincia, in Lombardia la situazione appare drammatica: nella regione che anche analisi e retate recenti indicano come la più colpita dalla penetrazione jihadista in Italia, l'unico ente islamico che ha scelto di aprire le sue porte ai cristiani oggi e domani è l'associazione Sabil di San Giuliano Milanese, una piccola realtà da sempre schierata tra i «moderati».

Come è possibile, come viene giustificato questo schiaffo plateale alla linea del dialogo? Nella maggior parte dei casi, col silenzio e con l'indifferenza. Ma Roma il portavoce della Grande Moschea è intervenuto pubblicamente per spiegare il rifiuto accusando Foad Aodi di avere lanciato la proposta per farsi pubblicità: «Confusione e ambiguità provengono da chi cerca a tutti i costi visibilità e si presenta in qualità di rappresentante degli arabi in Italia, dei profughi, dei migranti e ora dei musulmani, pur non essendolo», ha detto all'Ansa Abdellah Redouane, segretario del centro culturale della moschea. Una spiegazione che non fa i conti con la lunga lista di associazioni di area islamica che si sono schierate con l'idea di Aodi.

Rivalità interne al mondo islamico a parte, la situazione non cambia: i cristiani che oggi pomeriggio e domattina dovessero bussare alla porta di una moschea della loro città per scambiare un segno di pace, rischiano nella maggioranza dei casi di trovare la porta chiusa o vedersela sbattere sul naso.

La proposta di Aodi era nata come seguito ideale di #musulmaninchiesa, che il 31 luglio scorso aprì agli islamici le porte dei luoghi di culto cattolici, in risposta alla tragedia di Rouen dove un fanatico aveva sgozzato sull'altare padre Jacques Hamel. Ma se il 31 luglio le chiese erano rimaste aperte per davvero, oggi non sarà così: o almeno non altrettanto. Aodi non si perde d'animo: spiega che quello della Grande moschea di Roma «è un gravissimo boicottaggio» ma aggiunge: «Siamo un'onda popolare democratica, non siamo in una monarchia e noi andremo avanti nonostante il loro no.

Vogliano abbattere il muro della paura».

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