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Csm nel mirino del governo. E Greco attacca i "romani"

Bonafede lavora alla riforma della giustizia. Ma sulle intercettazioni gli alleati sono divisi

Csm nel mirino del governo. E Greco attacca i "romani"

Mentre il caso Csm provoca, per bocca del procuratore capo di Milano Francesco Greco, una sorta di secessione morale dei «magistrati del Nord», la questione dell'autogoverno della magistratura finisce sul tavolo del governo.

Tavolo già affollatissimo di faldoni su cui la maggioranza grillo-leghista non pare in grado di trovare l'intesa: e la questione giustizia non fa eccezione. Il vertice convocato ieri a tarda sera a Palazzo Chigi, per consentire al Guardasigilli Bonafede di illustrare le sue proposte di riforma ai capi della coalizione e - già che c'è - pure al premier, non sembra aver risolto i problemi. In serata, il ministro grillino ha fatto sapere di voler aggiungere pure il dossier Csm al fascicolo, e la velina filtrata da Via Arenula parla di «allineamento del trattamento economico» dei consiglieri togati del Csm ai tetti previsti dalla legge, ovvero 240mila euro annui. «Attualmente - si fa notare - ci sono magistrati che arrivano anche a guadagnare circa 400mila euro l'anno», altro che i poveri parlamentari tanto vilipesi.

Intanto da Milano è piombata l'invettiva nordista di Francesco Greco: a dire del procuratore (nominato, va ricordato, proprio dal Csm, e a larga maggioranza, nel 2016) quello di chi decide gli incarichi direttivi all'interno della magistratura «è un mondo che non ci appartiene, che non appartiene soprattutto ai magistrati del nord e che vive negli alberghi e nelle retrovie della burocrazia romana». Un mondo «che ci ha lasciati umiliati nelle sue logiche di funzionamento», prosegue veemente, ricordando di avere (da pm) «lavorato per tutelare l'economia sana, ma queste non erano cose utili per ottenere un incarico direttivo». In verità, l'incarico poi è arrivato, ammette: «Per fortuna le cose sono andate bene». Più tardi prova a rettificare: «L'uso del termine 'nord' aveva un valore metaforico».

Grazie all'emergenza Csm, Bonafede vorrebbe accelerare la propria riforma con lo scopo di «rilanciare l'immagine della magistratura». Ci ha lavorato per diversi mesi, e sulla riforma del processo è riuscito a conquistare il consenso dell'avvocatura, lasciando invece spiazzata e delusa l'Anm: «Ha recepito molte delle posizioni dei penalisti. Ora però si tratta di vedere cosa di quel lavoro verrà accolto nella legge delega», dice il presidente delle Camere penali Giandomenico Caiazza. Processi più rapidi, tempi rigorosamente definiti per le indagini preliminari e le udienze (con possibili sanzioni per chi non li rispetta), separazione netta tra carriere in magistratura ed esperienze in politica e un nuovo sistema per eleggere i togati del Csm: questo il canovaccio. Punti sui quali la Lega dovrebbe in teoria dare il proprio assenso: «Bisogna dare un limite perentorio alle fasi del processo, a cominciare dalle indagini», dice la ministra Bongiorno, delegata da Salvini a seguire il dossier. Ma tra gli alleati di governo resta una profonda divergenza sul tema intercettazioni: mentre Bonafede (che sta cercando l'appoggio della categoria dei giornalisti, avidi di verbali piccanti che fanno vendere copie) punta ad estendere illimitatamente l'uso dei trojan e alla pubblicazione integrale e senza limiti delle conversazioni registrate a strascico, Salvini è stato assai netto sul tema: «Leggere sui giornali intercettazioni che non hanno rilievo penale è incivile», ha affermato sul caso Lotti.

Posizioni apparentemente difficili da conciliare.

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