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Cucchi, l'accusa del pm: "Depistaggi da horror"

Chiesti 18 anni per i due carabinieri accusati di omicidio. La sorella: «Lo Stato c'è»

Cucchi, l'accusa del pm: "Depistaggi da horror"

Dieci anni di accuse, false piste, processi e depistaggi. Con la richiesta di condanna di quattro dei cinque carabinieri sotto processo in Corte d'Assise, si avvia a conclusione il processo bis sul pestaggio in caserma subito da Stefano Cucchi, a cavallo tra il 15 e il 16 ottobre 2009 che portò alla sua morte. Per Alessio Di Bernardo, Raffaele D'Alessandro ritenuti autori del pestaggio, il pm Giovanni Musarò chiede la condanna a 18 anni di carcere. I due rispondono di omicidio preterintenzionale in concorso con Francesco Tedesco, il militare che nel corso del procedimento ha accusato i due colleghi. Per Tedesco lui chiesta l'assoluzione per non aver commesso il fatto sul reato di omicidio preterintenzionale e la condanna a tre anni e sei mesi per il reato di falso nella compilazione del verbale di arresto di cui risponde insieme al maresciallo Roberto Mandolini, all'epoca dei fatti a capo della stazione Appia, dove venne eseguito l'arresto. Per Mandolini il pm chiede otto anni di carcere e interdizione perpetua dai pubblici uffici. Chiesta il non doversi procedere per intervenuta prescrizione del reato di calunnia nei confronti di Mandolini, Tedesco e Vincenzo Nicolardi, anche lui carabiniere, a giudizio per le calunnie contro i tre agenti di polizia penitenziaria che vennero accusati nel corso del primo processo.

La sentenza, una volta esauriti gli interventi di tutte le difese, è prevista per novembre, salvo cambi di programma. Restano però in piedi altri filoni processuali. L'11 ottobre si chiude infatti davanti alla Corte d'Assise d'appello il dibattimento, per omicidio colposo (reato ormai prescritto) a carico di cinque medici dell'ospedale Sandro Pertini, dove il geometra romano morì sei giorni dopo l'arresto. Il 12 novembre, invece, c'è la prima udienza che vede imputati otto militari dell'Arma per i falsi e i depistaggi.

«Questo non è un processo all'Arma, come la difesa di Roberto Mandolini ha insinuato per opporsi alla richiesta di acquisizione della nuova documentazione - ha detto il pm Giovanni Musarò durante la sua requisitoria -. È un processo contro 5 esponenti i quali nel 2009 come altri, imputati in altro procedimento penale, violarono il giuramento di fedeltà, tradendo innanzitutto l'Istituzione di cui facevano e fanno parte». E sottolinea che l'acquisizione di alcuni elementi decisivi è stata possibile solo grazie alla leale collaborazione offerta dai vari Comandi. «Nella vicenda Cucchi i depistaggi hanno toccato picchi da film dell'orrore» ha aggiunto il pm, ricordando che al momento dell'arresto Cucchi stava bene, era uno sportivo, faceva boxe e non era tossicodipendente o sieropositivo. Solo dopo le botte non mangiava più per «disturbo post traumatico da stress». «Quello subito da Stefano fu un pestaggio violentissimo in uno stato di minorata difesa - ha detto ancorta -. Sono due le persone che lo aggrediscono. Chiediamo pene esemplari ma giuste».

Soddisfatta Ilaria, la sorella della vittima: «Se ci fossero magistrati come il dottor Musarò non ci sarebbe bisogno di cosiddetti eroi o della sorella della vittima che sacrifica dieci anni della sua vita per portare avanti sulle sue spalle quella che è diventata la battaglia della vita».

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