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Dai magliai ai corniciai. Così l'artigianato è a rischio estinzione

I laboratori e i negozi chiudono a ritmi sempre più veloci. La scommessa persa dal governo: togliere l'Italia dalla crisi

Dai magliai ai corniciai. Così l'artigianato è a rischio estinzione

Roma - Il governo Renzi nasce con una scommessa: portare l'Italia fuori dalla crisi. Per ora è un fallimento. C'era un tempo in cui il premier chiamava gli artigiani «eroi», purtroppo quegli eroi stanno affondando. I laboratori e i negozi chiudono ad un ritmo sempre più accelerato. Sono una specie in via d'estinzione, come tanti antichi mestieri destinati tra qualche anno a rimanere poco più che un ricordo.Sono gli ultimi dati della Cgia di Mestre a confermare che la crisi della categoria non si attenua. Anzi, peggiora, con 22mila imprese affossate nell'ultimo anno. Soffrono alcune professioni in particolare. I calzolai, per esempio, ormai si fa fatica a trovarne uno. Lo stesso per fabbri, barbieri, fotografi o corniciai.

Lavori «storici» destinati a scomparire, sia per le profonde trasformazioni che i relativi settori stanno subendo, sia perché non c'è ricambio nelle nuove generazioni. I giovani a certi mestieri non si avvicinano proprio e così si perdono per sempre saperi e conoscenze. «La chiusura di queste attività - osserva il segretario della Cgia, Renato Mason - sta peggiorando il volto urbano dei nostri paesi e delle nostre città». È comunque tutto l'artigianato ad essere in sofferenza. «A differenza degli altri settori economici - spiega Paolo Zabeo, coordinatore dell'Ufficio studio della Cgia - è l'unica categoria economica che continua a registrare un netto calo delle imprese attive». Se nel 2015 le attività sono diminuite di 21.780 unità, dall'inizio della crisi ne sono crollate 116mila. Fino allo scorso 31 dicembre il numero complessivo delle aziende artigiane presenti in Italia era sceso sotto quota 1 milione 350mila. A patire maggiormente sono i settori dell'edilizia (-65.455 imprese) e dei trasporti (-16.699), seguono le attività manifatturiere, soprattutto le imprese metalmeccaniche (-16.681) e gli artigiani del legno (-19.768). Anche se ci sono mestieri che la crisi non la sentono, come quello legati alla cura del corpo e alla ristorazione: parrucchiere ed estetiste sono aumentate di 2.180 unità, nessun problema per gelaterie e street food, per imprese di pulizia e di giardinaggio.

Nella sua analisi la Cgia fa una graduatoria dei mestieri artigiani che hanno sofferto maggiormente la crisi tra il 2009 e il 2015. In questo periodo, soprattutto al Sud, alcune professioni hanno subito una tale contrazione del numero degli iscritti che nel giro di una dozzina d'anni rischiano di sparire: i piccoli armatori (-35,5 per cento), i magliai (-33,1 per cento), i riparatori audio-video (-29,4 per cento), i lustrini di mobili (-28,6 per cento), i produttori di poltrone e divani (-28,4 per cento), i pellicciai (-26 per cento), i corniciai (-25,7 per cento), gli impagliatori (-25,2 per cento), i produttori di sedie (-25,1 per cento), i camionisti (-23,7 per cento) e i falegnami (-23,2 per cento). Le ragioni di questa «moria», secondo la Cgia, vanno cercate nella caduta dei consumi delle famiglie, ma soprattutto nell'aumento della pressione fiscale e degli affitti, che hanno spinto fuori mercato molte attività. «Senza contare - aggiunge Zabeo - che l'avvento delle nuove tecnologie e delle produzioni in serie hanno relegato in posizioni di marginalità molte professioni caratterizzate da un'elevata capacità manuale.

Ma oltre al danno economico c'è anche un aspetto sociale preoccupante: quando chiude la saracinesca una bottega, la qualità della vita di quel quartiere peggiora notevolmente».

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