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Dalle Poste un tesoretto di 4,4 miliardi

Giorgetti: "Vendiamo il 29%, teniamo il controllo e risparmiamo 200 milioni di interessi all'anno"

Matteo del Fante
Matteo del Fante

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Dalle Poste un tesoretto di 4,4 miliardi

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Governo avanti tutta con le vendita di quote delle grandi società a controllo pubblico. In altri termini dette anche privatizzazioni. Un'operazione ben spiegata ieri in audizione al Senato dall'«azionista» di controllo delle società: il ministro dell'Economia Giancarlo Giorgetti. Che ha espresso il suo pensiero ponendo una domanda retorica: «Voi ritenete che l'esperienza di società in cui lo Stato non essendo al 50%, ma comunque in modo continuo detiene il controllo - faccio riferimento a Eni, Enel, - abbia prodotto un miglioramento delle performance, o un peggioramento? Io ritengo un miglioramento delle performance e anche dei dividendi». Come a dire che i big industriali e i loro tanti piccoli azionisti non hanno certo di che lamentarsi della presenza dello Stato. Dopodiché - è il Giorgetti pensiero - inutile detenere troppe azioni di una società a largo flottante quando, per averne il controllo, è sufficiente una quota intorno al 35% (con la quale si controllano le assemblee e si nominano i vertici) se l'operazione genera un profitto per lo Stato.

Non a caso l'audizione riguardava gli effetti di un'ulteriore vendita di quote di Poste Italiane sul mercato, come previsto dal Dpcm. Oggi il Mef ne controlla tramite la Cdp il 35% e direttamente il 29,26%. Ed è questa la quota destinata al mercato: «Se si procedesse alla cessione dell'intera partecipazione del Mef - ha detto il ministro - il controvalore sarebbe di 4,4 miliardi, valore che tuttavia non può prescindere dalla tempistica dell'operazione inquadrata nell'orizzonte 2024-26». Realizzeremo «l'operazione nel momento più adeguato alla massimizzazione dell'introito». La cessione della quota, come detto, «non determinerà la perdita di controllo e nessun soggetto diverso dal Mef potrà detenere una quota superiore al 5%». La cessione può avvenire «anche in più fasi» (come per esempio sta avvenendo con Mps, ndr) e in principio «il governo potrebbe fermarsi al 51%, asticella in questo momento soddisfacente rispetto al percorso».

Giorgetti è stato poi molto chiaro sulla razionalità finanziaria dell'operazione, spiegando che per le casse dello Stato, utilizzando gli introiti derivanti dalla vendita delle azioni di Poste per abbassare il debito pubblico, i minori dividendi incassati sono inferiori al risparmio che si ottiene dalle minori spese per interessi, generando «un risparmio in termini di spesa per interessi passivi pari a circa 200 milioni annui». A questi si aggiungono gli «effetti positivi sulle performance aziendali connesse a tali operazioni». Purtroppo lo spazio per altri collocamenti di questo tipo è limitato solo alle Poste, dal momento che la quota del Mef nelle altre big quotate quali Eni (32,4%), Terna (29,8), Enel (23,6%) e Leonardo (30,2%), non consente grandi spazi di manovra se si vuole mantenere il controllo.

Per le Poste, l'ad Matteo Del Fante (anch'egli in audizione) ha a sua volta rassicurato i senatori: «Alla domanda se cambia qualcosa con la vendita di altre azioni sul mercato o no - ha detto - Io risponderei così: assolutamente no, dipende solo ed esclusivamente dal management e dalle indicazioni che dà l'azionista».

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