Economia

De Benedetti rivuole i giornali ma la famiglia non glieli vende

Dall'Ingegnere un'offerta per il 29,9% di Gedi Cir rifiuta: «Manifestamente irricevibile e inadeguata»

De Benedetti rivuole i giornali ma la famiglia non glieli vende

L'Ingegnere tenta di riprendersi la Repubblica, ma i suoi figli, per ora, respingono al mittente la proposta. Ieri, infatti, Carlo De Benedetti ha reso noto di aver presentato venerdì scorso tramite la propria finanziaria Romed al cda di Cir un'offerta di acquisto in contanti del 29,9% delle azioni Gedi al prezzo di chiusura di giovedì (0,25 euro ad azione). Gedi è il gruppo editoriale nato dalla fusione con la ex Itedi della Fiat e a cui fanno capo non solo il quotidiano di Largo Fochetti, ma anche La Stampa, Il Secolo XIX, l'Espresso, alcune testate locali e le radio Deejay, Capital e m2o.

La risposta negativa è arrivata nel tardo pomeriggio di ieri. La holding, infatti, ritiene la proposta «manifestamente irricevibile in quanto del tutto inadeguata a riconoscere a Cir e a tutti gli azionisti il reale valore della partecipazione e ad assicurare prospettive sostenibili di lungo termine a Gedi». Una replica dura se si considera che, in primo luogo, Gedi è presieduta dal figlio dell'Ingegnere, Rodolfo De Benedetti, e che, in seconda istanza, allo stesso Rodolfo e ai fratelli Marco ed Edoardo è stato donato dal padre il controllo del gruppo nel 2012.

Una delle motivazioni del rifiuto risiede proprio nel prezzo. Quei 0,25 euro ad azione significano un prezzo complessivo di poco inferiore a 37 milioni e, soprattutto, nessun premio sulle quotazioni di Borsa (venerdì la chiusura è stata di 0,253 euro) come si usa nelle offerte di acquisto. E, d'altronde, avendone «regalato» il controllo, l'Ingegnere avrà pensato bene di riprenderlo senza largheggiare. Di qui l'offerta sul 29,9% a fronte del 43,7% detenuto da Cir proprio per non far scattare l'obbligo dell'Opa.

Carlo De Benedetti ha sempre avuto la passione per l'editoria, ha di fatto consentito a Repubblica di sopravvivere alla fine degli anni '70 e, anche dopo aver lasciato la finanza «attiva», ha mantenuto la presidenza del gruppo Espresso fino al giugno 2017. Il ritorno dell'Ingegnere aveva anche un significato finanziario. A poco più di due mesi dalla fusione di Cir e Cofide, le due holding del gruppo fondato da De Benedetti, «liberarle» del settore editoriale per lasciarle gestire la componentistica auto (Sogefi) e la sanità (Kos) avrebbe avuto un senso. Gedi, infatti, capitalizza solo 123 milioni, «appannata» proprio dai quotidiani.

«Questa iniziativa è volta a rilanciare il gruppo promuovendone le straordinarie potenzialità», ha scritto l'Ingegnere nella lettera che accompagnava l'offerta. Il primo rilancio, però, avrebbe dovuto essere sul prezzo: Gedi è consolidata in Cir per un valore di 230 milioni di patrimonio netto. Accettare le condizioni (che comprendevano anche la distribuzione del residuo 13,8% ai soci di Cir) avrebbe significato soffrire una minusvalenza di oltre 100 milioni.

Ultimo ma non meno importante. De Benedetti aveva chiesto, previa accettazione dell'offerta, anche le dimissioni del cda di Cir a eccezione di John Elkann (ex editore della Stampa e socio al 6,98% di Gedi) e di Carlo Perrone (ex editore del Secolo con il 5%). Exor aveva fatto sapere che si sarebbe rimessa alle decisioni di Cir, evidenziando che l'editoria, in questo momento, non è in cima ai pensieri della famiglia. L'Ingegnere, però, ha di fatto chiesto un passo indietro al figlio Marco, presidente di Gedi, a Monica Mondardini, ad di Cir e a Laura Cioli, ad di Gedi ed ex Rcs.

Un segnale molto evidente di sfiducia che certamente ha influito sui toni pesanti con i quali l'offerta è stata respinta.

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