Magistratura

Denis, il peggior suggeritore di se stesso

L'artefice del "Patto del Nazareno", consigliere dei politici, cade ancora per propria mano

Denis, il peggior suggeritore di se stesso

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Suggerire a tutti senza saper suggerire a se stesso. È questa la nemesi che riporta Denis Verdini a varcare, per la seconda volta in vita sua, la soglia di un carcere. La prima volta c'era andato con le sue gambe, la sera in cui la Cassazione aveva reso definitiva la sua condanna per il crac del Credito Fiorentino: il 3 novembre 2020 si era presentato a Rebibbia ma la sentenza non era ancora arrivata, ed era rimasto per ore in sala d'attesa come un postulante. Due mesi dopo era a casa, agli arresti domiciliari. Ieri invece sono i carabinieri a portarlo a Sollicciano, il carcere della sua Firenze, accusato di evasione per essere uscito dai domiciliari con la scusa del dentista. Ed essersi fatto beccare a tavola, in tre ristoranti romani.

Se Denis Verdini si fosse suggerito anche da sé, si sarebbe sconsigliato quelle cene: perché era ovvio finiva così, come può passare inosservato un omone di quasi due metri, il testone canuto, la faccia da quindici anni sulle pagine che raccontano i misteri della politica? Ribalta non cercata, non desiderata. Al figlio del macellaio di Fivizzano più del bancone piace il retrobottega, dove le ricette vengono pensate e cucinate prima di essere servite al pubblico. L'etnia dei Letta senior, dei Velardi. Che però Verdini declina in questi anni su versanti plurali. Suggerendo prima a un Matteo e poi a un altro, e prima ancora e più a lungo al vero amore della sua passione politica, Silvio Berlusconi, «sovrano inattaccabile ma generoso», «Re Sole», «capo senza rivali» come ebbe a definirlo dopo la morte. Suo capolavoro, il «Patto del Nazareno».

Non sempre Berlusconi (che si era invaghito di lui durante la donchisciottesca campagna del 2002 nel Mugello, Giuliano Ferrara contro Antonio Di Pietro) seguì i suoi consigli. Durante l'ultima corsa al Quirinale Verdini gli propose di farsi da parte e lasciare a Matteo Salvini il ruolo di kingmaker per un presidente di centrodestra: il Cav non gli diede retta, e finì come si sa. Forse, col senno di poi, avrebbe fatto bene a dargli retta anche Matteo Salvini, cui nel 2018 il futuro suocero sconsigliò vivamente di andare al governo con i grillini, «la Lega non può permettersi di tradire Berlusconi». Salvini andò dritto per la sua strada, e anche lì la fine è nota. La diversità di opinioni non impedì l'anno dopo a Verdini di ospitare «in una delle sue ville» (non si è mai capito quante ne abbia davvero) la riunione tra Salvini e Giuseppe Conte che sarebbe dovuta restare segreta.

La vera domanda è: da dove gli viene questo gusto, questa abilità per il suggerimento? Fiuto istintivo, capacità innata di sentire il vento, la vecchia gavetta nel Pri di Spadolini? Tutte le volte che qualche giornale o magistrato ha provato a associare il potere discreto di Verdini a entità oscure è rimasto deluso: lo incriminarono per la presunta loggia P3 e dopo anni venne assolto; lo accusarono di fare parte della loggia Ungheria, e si accertò che la loggia non esisteva. Massone? Forse sì, forse no. Ma parliamo di una regione dove chi non ha mai conosciuto un massone è uno sfigato.

A conti fatti, è disarmante che un uomo così acuto non abbia messo altrettanta accortezza negli affari. Una bancarotta dopo l'altra, ed era chiaro che i magistrati non gliel'avrebbero fatta passare liscia, anche se - come disse in aula, e fu l'unica volta che lo si vide piangere - «io ho dato tutto per quella banca». Ora, a 73 anni, è di nuovo in cella. In fondo gli è andata bene, perché al culmine della sua parabola ci fu chi lo paragonò addirittura al diavolo, assicurandogli che sarebbe finito all'inferno. Lui non si scompose e replicò: «io potrei finire in ogni girone infernale, scegliete voi, in tutti meno che nella bolgia degli ipocriti».

Ma due bolge più sotto, come è noto, ci stanno quelli che hanno dato consigli ingannatori: e neanche quello, si può star certi, sarebbe il posto di Verdini.

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