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Il deputato azzurro assolto dopo sei anni di calvario. "Massacrato da pm e tv"

Fabrizio Di Stefano inquisito nella Rifiutopoli abruzzese

Il deputato azzurro assolto dopo sei anni di calvario. "Massacrato da pm e tv"

Roma - Fabrizio Di Stefano è felice, ma ha l'amaro in bocca. Cerca su giornali e tv notizia della fine di un incubo durato 6 lunghi anni, ma non trova nulla. Solo qualche testata locale ne parla, silenzio dai grandi quotidiani, dai tg nazionali e dai talk show che avevano dato grande risalto agli avvisi di garanzia per la Rifiutopoli abruzzese. Ora che il deputato di Fi, l'imprenditore Di Zio, l'ex assessore regionale Venturoni e l'ex amministratore delegato di una società di Teramo Cardarella, escono assolti con formula piena dal processo di Pescara, niente.

Corruzione, istigazione alla corruzione, abuso d'ufficio, peculato, turbativa d'asta e millantato credito: le accuse dei pm erano pesanti e sono tutte cadute.

«Ho tirato un sospiro di sollievo, perché per un innocente è ben più grave trovarsi in condizioni simili. In me rimane il rammarico per quello che ho dovuto tribolare, per il fango che mi è stato gettato addosso, per l'umiliazione. E tanta rabbia contro il circolo mediatico che si scatena quotidianamente quando l'avviso di garanzia diventa condanna prima della condanna».

Nel suo caso che cosa è successo?

«Un massacro. L'indignazione verso di noi è stata tale che perfino il vescovo di Chieti ha usato parole pesanti contro la malapolitica locale. Siamo stati sbattuti sulle prime pagine di giornali e tg, con tanto di foto, programmi come Piazza pulita sono venuti a chiedermi con che coraggio votavo la legge anticorruzione. Ho dovuto denunciare tanti che su Facebook mi insultavano. E mi è andata bene, perché essendo deputato sono coperto da immunità, perché gli altri da innocenti sono stati settimane agli arresti domiciliari. Per non parlare del sindaco di Roccaraso, che non ha retto alle pressioni e si è suicidato, prima di essere scagionato. Rimane aperta solo la posizione del deputato Paolo Tancredi di Ncd, che è stata stralciata per un problema di competenza».

La vittima di un errore giudiziario può credere ancora nella giustizia?

«Ci sono pm che usano strumenti politici o semplicemente sono poco, troppo poco attenti. E ci sono giudici che, per fortuna, hanno il coraggio di giudicare i fatti per quelli che sono. Quindi sì, ho ancora fiducia nella giustizia. Ma è tutto il sistema che non funziona. Una tv legata ad un gruppo della sanità privata abruzzese venne ad intervistarci una settimana prima degli avvisi di garanzia. Storture come questa sono segnali preoccupanti. E poi, quanto è costato tutto questo? Sono stato intercettato per mesi e mesi, seguito a Roma, fotografato. Poi anni di inchiesta e processo. Vuol dire svariati milioni e chi paga? La Corte dei conti dovrebbe approfondire».

Chiederà un risarcimento?

«No, perché il danno sarebbe per i cittadini. Se pagassero i magistrati, lo farei».E un intervento del Csm?«Non giudico i magistrati, a ognuno la sua parte. Io ho avuto un finanziamento per la campagna elettorale come il vicepresidente del Csm Giovanni Legnini, che giustamente non è stato inquisito».

Quanto ha pesato il processo sulla sua vita politica?

«Molto. Gli avversari non hanno perso occasione per attaccarmi. Anche quelli del M5S, il cui leader è stato condannato per un reato ben più grave.

E il Pd, tanto garantista, chiese un consiglio comunale straordinario per avere le mie dimissioni da consigliere».

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