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La deriva umiliante del compagno D'Alema: segnalato dalla Digos per i suoi strani affari

Sono brutti momenti. Quando un ex presidente del Consiglio, il primo comunista approdato pacificamente alla guida di un paese europeo, il primo ad essere ricevuto alla Casa Bianca, si ritrova schedato dalla Digos

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Sono brutti momenti. Quando un ex presidente del Consiglio, il primo comunista approdato pacificamente alla guida di un paese europeo, il primo ad essere ricevuto alla Casa Bianca, si ritrova schedato dalla Digos come un leoncavallino qualunque, bisogna prendere atto che il potere e la gloria sono davvero effimeri. A sperimentare l'amara verità è Massimo D'Alema. Che, come racconta ieri Il Fatto quotidiano, è divenuto oggetto di una approfondita relazione dell'ufficio politico della Questura di Napoli. Nel dossier, le attività palesi e occulte dell'ex lider maximo della sinistra italiana vengono radiografate con dovizia di dettagli. E messe sul tavolo dei pubblici ministeri che accusano D'Alema di essere al centro di una cricca criminale specializzata in traffico d'armi.

Dell'esistenza della relazione Digos sul lato oscuro dell'ex segretario dei Ds si era scoperta l'esistenza già nel giugno scorso, quando i pm napoletani avevano spedito i loro investigatori a perquisire gli uffici di D'Alema, accusato di corruzione internazionale per avere cercato di oliare la vendita alla Colombia di aerei e navi prodotti dall'industria bellica italiana: una mediazione del tutto inutile, essendo già in corso una trattativa ufficiale, ma che nei piani di D'Alema doveva produrre una mega-provvigione da ottanta milioni di euro. Nel decreto di perquisizione notificato a D'Alema veniva contestata «l'aggravante di avere commesso il reato attraverso il contributo di un gruppo criminale organizzato». Tra i complici del politico («ex politico», nella sua autodefinizione) veniva indicato, insieme ad alcuni faccendieri, anche l'ex amministratore delegato di Leonardo, Alessandor Profumo.

Nel decreto di perquisizione si citavano espressamente tra le fonti di prova a carico di D'Alema i rapporti Digos del 29 settembre e dell'8 novembre 2022. Ora emerge il testo della terza relazione, datata 28 novembre, in cui si afferma che la cricca di D'Alema approfittava di una rete di rapporti «composta prevalentemente da un nucleo di persone stabilmente inserite nella vita pubblica e privata con legami radicati nel mondo politico-istituzionale che operano nel contesto simbiotico di un reciproco tornaconto personale». Evidente, secondo il rapporto di polizia, è che il vero valore aggiunto della cricca, il nome decisivo da spendere nelle trattative con i colombiani, è quello di D'Alema: «Appare pienamente conclamata la sua capacità comunicativa nel negoziato», si legge. Nel commercio di armi, secondo la Digos, D'Alema mette a frutto esperienza e legami accumulati facendo politica: il suo peso nella vicenda è «sintomatico del ruolo propulsivo e decisorio discendente della caratura e storica militanza negli apparati di potere».

Alla fine del rapporto, la Digos concludeva benevolmente che le dinamiche erano «opache» ma potevano essere ricondotte nella categoria di «regolari scambi commerciali». Purtroppo per D'Alema, i pm napoletani poi sono andati avanti, e hanno scoperto l'altra faccia della trattativa: degli ottanta milioni di cresta che «Baffino» si riprometteva di fare sui quattro miliardi di commessa, la metà era stata offerta ad una sfilza di politici colombiani tra cui il ministro degli Esteri e vicepresidente Marta Lucia Ramirez e i delegati del Senato German Monroy Ramirez e Francisco Joya.

Con il sequestro dei computer di D'Alema, Profumo e degli altri indagati, l'inchiesta della procura di Napoli è sostanzialmente finita. Dopo le ferie i pm Vincenzo Piscitelli e Silvio Pavia dovrebbero essere in grado di notificare gli avvisi di conclusione. Per il momento, resta la malinconia di quel rapporto della Digos, amaro memento della caducità umana. Di cui però D'Alema qualche avvisaglia l'aveva avuta: quando a marzo 1999 si era presentato alla Casa Bianca per essere ricevuto da Clinton, un giornalista americano aveva chiesto chi fosse quel tipo con i baffi, e un collega gli aveva risposto: «É il presidente del consiglio italiano di questo mese».

D'Alema aveva sentito, e c'era rimasto male.

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