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Diciotti, l'Aula salva Salvini (ma condanna i 5 Stelle)

Processo negato con 237 no. Tre grillini si ribellano e altri undici si eclissano. Matteo: «Grato al buon Dio»

Diciotti, l'Aula salva Salvini (ma condanna i 5 Stelle)

«S ono grato al buon Dio», flauta Matteo Salvini levando compunto gli occhi al cielo e - soprattutto - al tabellone luminoso del Senato che sancisce la sua (scontata) assoluzione parlamentare per il caso Diciotti. Duecentotrentasette voti a suo favore, ben più di quella maggioranza assoluta di 161 che era necessaria per dire no ai magistrati che chiedono di processarlo, grazie all'aggiunta dei voti di Forza Italia e di Fratelli d'Italia.

Ma il capo leghista sa benissimo che il buon Dio non c'entra un bel nulla: a risparmiargli un processo imbarazzante e rischioso e una potenziale condanna («Ci tenevo ad evitare 15 anni di galera», ha confessato) sono stati i suoi alleati Cinque Stelle, che hanno vissuto un'ennesima giornata nera: la mattina, la notizia dell'arresto di un dirigente storico di prima linea come il romano Marcello De Vito; il pomeriggio il voto obbligato per salvare Salvini. Sono solo tre, e tutte donne, le senatrici grilline che hanno osato sfidare il diktat della Casaleggio e hanno votato a favore del processo: Paola Nugnes, Elena Fattori e Virginia La Mura. «Non c'era un preminente interesse pubblico che potesse essere raffrontato all'interesse calpestato dei 177 migranti a bordo ma anche dell'equipaggio, quindi credo che Salvini non possa valersi dell'immunità e che debba andare a giudizio», spiega Nugnes. In 11, chi dandosi malato e chi dicendo che doveva andare a fare la pipì, si sono invece eclissati evitando di votare. Quanto alle tre aperte dissidenti, finiranno sotto processo: verranno deferite ai probi viri grillini, e sono già stati minacciati di espulsione. Dalle opposizioni si attacca il Movimento che annaspa: «Il voto di oggi sancisce la fine del M5s. Politicamente non esistono più. Per il potere, hanno svenduto a Salvini tutta la loro storia di questi anni. Da oggi, definitivamente, sono tutt'uno con Salvini», tuona il dem Verducci.

In tarda mattina un Salvini piuttosto impacciato e sottotono legge dai banchi della Lega le paginette di autodifesa che gli hanno scritto gli avvocati sotto la supervisione della ministra Bongiorno. Si confida «emozionato», spiega che «la decisione sulla Diciotti è stata una iniziativa del governo coerente con gli interessi pubblici del Paese», chiamando quindi in correità i colleghi di esecutivo, poi si profonde in ringraziamenti obbligati ai «colleghi 5 Stelle, perché le cose si fanno in due, evidentemente». Come nei matrimoni: applausi imbarazzati dai grillini, il premier Conte, che obbediente si presenta in aula, guarda nel vuoto. Poi il vicepremier leghista giura: «Non sarò mai il ministro che lascia morire in mare qualcuno senza muovere in dito». Peccato che le cifre raccontino di almeno 150 morti nel 2019. A sera comunque il ministro può gongolare: «Sono contento perché i miei figli ora sanno che non sono un delinquente», twitta, confondendo un voto politico con un'assoluzione nel processo, che non ci sarà. Il Pd fa notare che però il governo è in affanno sui numeri: «Senza Fi e Fdi si sarebbe fermato a 160 voti, che non sarebbero bastati», osserva il senatore Ferrari.

Oggi, per salvare Toninelli dalle mozioni di sfiducia, la Lega dovrà contraccambiare il regalo e mettercela tutta.

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