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Difendo Scalfari fascista. All'epoca lo erano tutti

Come lui pure Bocca, Biagi, Napolitano e Ingrao

Difendo Scalfari fascista. All'epoca lo erano tutti

Voglio difendere Eugenio Scalfari da quest'accusa idiota di essere stato fascista da giovane, per cui Paolo Flores D'Arcais direttore di Micromega intende processarlo. Non lo faccio soltanto per Scalfari, ma per la verità storica e per la nostra dignità collettiva e contro l'ipocrisia.

Io il fascismo non l'ho vissuto perché ero bambino, ma la questione riguarda Scalfari e tuti quei ragazzi giovani e brillanti che erano non soltanto fascisti, ma strafascisti e che soltanto anni dopo hanno militato in campo avverso, basti citare Giorgio Napolitano e Pietro Ingrao che venivano dai Guf fascisti. Ma restiamo su Scalfari da cui mi divide quasi tutto, tranne il grande affetto e la riconoscenza che gli devo per avermi fatto sperimentare il mondo facendo di me un giornalista. Qualche settimana fa ci incontriamo nella piccola libreria antiquaria di via Pie' di Marmo, a due passi dal Pantheon. Eugenio è un po' indeciso se ammettere o no di riconoscermi, poi cede e ne nasce un dialogo indimenticabile, almeno per me.

«Sei molto cambiato» dice lui.

«Anche tu, benché ti veda spesso in televisione».

«E che cerchi?».

«Cerco - dico io - libri sulla Roma del 1943».

«Ah, il 1943! Sai, io allora non ero fascista».

«Ah no?»

«No! - dice con fierezza - Io ero fa-sci-sti-ssimo».

«Be' - commento - lo hai raccontato e scritto con grande lealtà. Hai anche raccontato del tuo compagno di banco al liceo di Sanremo Italo Calvino che ti scrisse di essere diventato comunista».

«Ah, Italo! Be', grazie tante: per lui tutto era facile. Lui dietro casa aveva le montagne e per sfuggire alla guerra se ne andò per la montagna».

«A combattere da partigiano, come ha raccontato in molti libri».

«Sì, vabbè, ma il punto è che per Italo era facile: esci dalla porta posteriore della tua casa, e c'è la montagna. Io invece nel 1943 stavo a Roma e dietro casa avevo il Vaticano. Così me ne andai in Vaticano».

«Per sfuggire ai fascisti?»

«Ma no, come ti ho detto ero fascista. Solo che ero di leva e non volevo partire militare. Così mi andai a nascondere in Vaticano».

«Anche Giorgio Bocca ha raccontato di essere stato un gran fascista e di aver urlato a piazza Venezia Duce scioglici le mani»

«Ma lo eravamo tutti».

«Lo eravate per convinzione o perché era obbligatorio esserlo?»

«Ma eravamo tutti fascisti ferventi, pazzi per il fascismo e per Mussolini».

«Io ricordo un giorno in cui arrivasti in redazione e gettasti sul tavolo un libro che avevano scritto su di te».

«Lo ricordo: Il cittadino Scalfari.

«Sì e dicesti: in questo libro si sostiene che io sia stato fascista, monarchico, liberale, radicale, socialista, comunista e alla fine democristiano. Poi aggiungesti: ed è tutto vero».

«Questo non me lo ricordo. Comunque ero fascista e su questo non ci sono dubbi».

Qui finisce il racconto del nostro dialogo in libreria. Quel dialogo non dimostra niente di particolare salvo che i giovani intellettuali fino all'inizio della guerra, anzi fino all'inizio della sconfitta erano tutti fascisti convinti, spesso fanatici fino e oltre l'imbarazzo. I pittori della scuola romana salvo Mario Mafai che aveva una sposa ebrea lituana, e comunque soltanto dopo le leggi razziali del 1938 erano tutti fascistissimi, e poi divennero quasi tutti comunisti. Faceva eccezione Carlo Levi, il noto autore di Cristo si è fermato ad Eboli che fu antifascista da subito e visse separato dalla comunità dei pittori italiani che erano tutti esaltati dal fascismo.

In quel dialogo in libreria ho anche chiesto a Eugenio Scalfari: «E tu come te la sei cavata con gli ebrei tuoi conoscenti?». «Nulla di particolare rispose amici erano e amici restarono, non cambiò nulla fra di noi».

Scalfari sposò Simonetta De Benedetti, figlia di Giulio, il mitico direttore della Stampa per vent'anni. Simonetta De Benedetti, scomparsa da qualche anno, era ebrea e dunque tecnicamente anche le figlie di Eugenio sono ebree. Ma lui attraversò il buio infernale delle leggi razziali (che estromettevano gli italiani ebrei da molte attività ma che non avevano nulla a che vedere con le persecuzioni nazionalsocialiste in Germania) senza per questo perdere la fede di giovane fascista, fino al crollo del regime.

Giorgio Bocca scrisse di essere diventato antifascista soltanto quando vide in quali condizioni le forze armate italiane erano scese in guerra, ma il distacco degli intellettuali e il loro passaggio all'antifascismo si compì soltanto con la vittoria militare alleata e la guerra civile che vide schierati contro i nazisti anche uomini di estrema destra come Edgardo Sogno Rata del Vallino, Medaglia d'Oro al valore militare per la Resistenza. Credo che uomini anche spropositatamente intelligenti e colti com Paolo Flores D'Arcais (la cui moglie Anna gli aveva affibbiato amorevolmente il soprannome di «frittatino» in quanto «testa d'uovo sfranta») sono ossessionati dalla banalissima ed evidentissima verità che tutti gli antifascisti seri conoscono da sempre: la «meglio gioventù» italiana e fino alla guerra civile successiva all'armistizio, era fascista per delirante passione rivoluzionaria che era tipica di quell'epoca e soltanto di quell'epoca che accomunava tutti gli intellettuali poi diventati in seguito comunisti e socialisti, salvo coloro che avevano scelto, come Nenni, Togliatti e Saragat, l'esilio o la galera come Giancarlo Pajetta, Sandro Pertini e Antonio Gramsci. Paolo Flores e la corrente di pensiero robesperriana, anzi saintjustiana, fragile e intransigente, dovrebbero farsene una ragione e chiedersi che cosa e chi sarebbero stati loro se fossero nati un quarto di secolo prima e avessero avuto vite simili a quelle di Scalfari, Bocca, Fellini, Flaiano, Biagi, Montanelli, Malaparte, Zangrandi, Ingrao, Napolitano e tutto lo stato maggiore che proveniva dalla fascistissima Cinecittà, in un mondo intelligentissimo cui partecipavano creature geniali, fasciste e non fasciste.

Giorgio Bocca partigiano ammazzò un prigioniero tedesco per poter andare a dormire senza preoccupazioni. E noi? E io? E lui Paolo Flores «Frittatino» d'Arcais? Nulla da dichiarare come disse Oscar Wilde ai doganieri americani salvo la propria genialità?

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