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In difesa del liscio svilito da Grillo

In difesa del liscio svilito da Grillo

La rivolta romagnola del liscio è scoppiata in una tranquilla domenica di gennaio nonostante le balere fossero mezze vuote dopo i veglioni di Capodanno. Ad accendere la miccia è stata una frase apparentemente innocua di Beppe Grillo che, per smentire le voci di un suo possibile forfait dai Cinque stelle per dissapori con Luigi Di Maio, ha testualmente scritto: «Per me lasciare il movimento sarebbe come per un jazzista darsi al liscio. Praticamente mi stanno dando dello scemo...». Apriti cielo! I romagnoli doc sono insorti come un sol uomo e, dalla «Ca' del Liscio» al circolo ricreativo di Faenza, si sono moltiplicate le proteste contro la «bestemmia» di Grillo: nella terra delle «arzdore» non passa lo straniero! Una protesta generalizzata che non ha ovviamente tenuto conto del colore di appartenenza politica: dal circolo Arci a quello repubblicano Mazzini di Forlì, è stato tutto un peana nei confronti di Raoul Casadei, il «re del lissio» (con due esse, come si dice da quelle parti), messo in croce dal Beppe grillino. Se il presunto endorsement di Orietta Berti a favore dei Cinque stelle ha provocato qualche mal di pancia, l'infelice paragone fatto dal comico genovese ha finito per provocare i nuovi moti di Romagna. E da buon romagnolo, anche il sottoscritto, con questo articolo, sta montando un po' la panna: è vero, l'uscita di Beppe era chiaramente paradossale, ma, al di là delle battute, tirando in ballo il ballo del liscio, il fondatore dei grillini ha fatto uno «scivolone» per il semplice motivo che gli abitanti di quel rettangolo a sud dell'Emilia - tra Imola e San Marino e tra l'Adriatico e gli Appennini, dove il vino viene chiamato «e' be'», il bere -, sono molto orgogliosi di alcune loro prerogative. E sono anche un po' permalosi. Per capire quanto siano fieri delle loro tradizioni, basta ricordare il piccolo-grande Leo Longanesi di Bagnacavallo: quando girava per l'Italia, il maestro di Montanelli, quasi come un'ossessione, continuava a ripetere nei suoi articoli: «da noi in Romagna». Il suo, diventava quasi una specie di duello tra le città che visitava e la terra d'origine: ovvio che, nel confronto, la Romagna vinceva sempre. Tornando al liscio, è, ancora oggi, così importante in tutte le stagioni (estate compresa) che i suoi fans più genuini veri si sono sentiti quasi presi in giro dal paragone «grillesco»: c'è chi, interpellato dall'agenzia Ansa, ha parlato di «giudizio razzista» o chi ha, addirittura, sottolineato il fatto che Secondo Casadei, zio di Raoul e padre della musica romagnola, venne definito «il Duke Ellington italiano». Nessuno, chissà perché, ha ricordato che la Romagna ha avuto, comunque, anche buoni jazzisti.

Il motivo? Forse perché il più conosciuto si chiamava Romano Mussolini.

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