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Doccia fredda per Ilda Niente conferma nel pool

Troppi elogi e nessuna ombra sull'operato del pm: la Procura generale fa riscrivere la relazione che avrebbe consentito alla Boccassini di restare a capo dell'Antimafia

Doccia fredda per Ilda Niente conferma nel pool

Se ci si illudeva che la cacciata di Alfredo Robledo dalla procura di Milano cancellasse di colpo veleni e tensioni venuti a galla in questi mesi di scontro frontale, riportando miracolosamente uno degli uffici giudiziari più delicati del paese ad una compattezza almeno di facciata, la smentita arriva praticamente in diretta. Perché nelle stesse ore in cui il Consiglio superiore della magistratura vara il provvedimento che toglie a Robledo i galloni da procuratore e lo spedisce con effetto immediato a fare il giudice a Torino, a Milano accade qualcosa che sarebbe stato impensabile appena pochi anni fa. E a farne le spese è Ilda Boccassini, anche lei procuratore aggiunto, capo del pool antimafia, alleata di ferro del procuratore Edmondo Bruti Liberati nel vittorioso scontro con Robledo.

Scena: il consiglio giudiziario di Milano, l'organismo di autogoverno locale dei giudici, una specie di agenzia locale del Csm. È qui che vengono avviate le procedure per valutare il rendimento dei magistrati in vista dei nuovi incarichi e degli avanzamenti di carriera. Il consiglio deve esaminare la pratica di Ilda Boccassini, che ha chiesto di essere confermata per altri quattro anni alla guida dell'Antimafia. Come si usa in questi casi, uno dei consiglieri prepara una relazione che indica pregi e eventuali difetti del candidato. E l'altro giorno la relazione su Ilda Boccassini è un lungo, sperticato, dettagliato elogio della attività della dottoressa: capacità investigativa, acume, cultura giuridica. Insomma, un monumento, un panegirico. Eppure in tempi normali, il consiglio giudiziario avrebbe approvato all'unanimità e senza discutere, tanto è il prestigio di un «mostro sacro» come Ilda. Invece stavolta la cosa non passa sotto silenzio. Prende la parola Laura Bertolè Viale, avvocato generale. E fa presente che il parere, così, non va bene. Perché per legge vanno indicate le luci e le ombre. E nel dossier di Ilda delle ombre non c'è traccia. In particolare di quelle che riguardano il suo singolare modo di gestire il pool antimafia, i metodi assolutisti, la mancanza di dialogo, il rifiuto di relazionarsi che l'anno scorso vennero messi nero su bianco nell'atto di accusa firmato da un altro magistrato, Filippo Spiezia, sostituto procuratore nazionale antimafia, incaricato di tenere i rapporti con Milano.

Quei giudizi su Ilda scatenarono un putiferio, la dottoressa si arrabbiò, Bruti Liberati chiese e ottenne che Spiezia venisse sconfessato e addirittura gli venisse tolta - accogliendo precipitosamente una sua vecchia richiesta di trasferimento - l'incarico di tenere i rapporti con Milano. Ma il caso è ancora aperto, ed il Csm ha nelle sue carte tutto l'eloquente scambio di messaggi tra la Boccassini e Spiezia dell'epoca in cui quest'ultimo cercava - come prevede la legge - di coordinare con Roma le inchieste milanesi. Di tutto questo, nella relazione che santificava la dottoressa non c'era traccia. Adesso dovrà essere riscritta. E non è un caso che la richiesta venga da un ufficio, la procura generale, il cui capo Manlio Minale si è cautamente ma nettamente schierato con Robledo, confermando la sostanza di parte delle sue accuse contro Bruti e il suo cerchio magico.

Ieri mattina Alfredo Robledo era ancora al suo posto, due porte accanto a quella di Bruti, forse per l'ultimo giorno. Ha intenzione di ricorrere in Cassazione contro il provvedimento del Csm che lo spedisce a Torino, ma nel frattempo deve fare le valigie. Ma, qualunque sia la sua sorte personale, nulla a Milano sarà più come prima.

E forse non è un male.

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