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Donne, il governo ci ripensa: niente pensione anticipata

Allo studio un mini sconto per accedere all'Ape social. Le lavoratrici italiane sono le più penalizzate d'Europa

Donne, il governo ci ripensa: niente pensione anticipata

Roma - Nel 2018 diventeremo il paese europeo con le regole previdenziali più rigide per le donne. Ma il governo ha rimesso nel cassetto tutti i progetti che cercavano di rendere più accessibili le pensioni rosa, in particolare la possibilità di allargare l'Ape social, l'anticipo pensionistico di tre anni, ad alcune categorie di lavoratrici. Oggi si terrà il secondo incontro tra il ministro del Lavoro Giuliano Poletti e i sindacati. Le organizzazioni dei lavoratori andranno all'attacco sull'innalzamento legato alle aspettative di vita che porterà l'età pensionabile a 67 anni nel 2019, ma sul tavolo della trattativa c'è anche l'emergenza delle donne. Dal prossimo anno l'età per la pensione della vecchiaia sarà parificata a quella degli uomini (66 anni e 7 mesi). Poi continuerà ad aumentare per effetto degli adeguamenti periodici alle aspettative di vita.

Tra due anni le italiane saranno tra le poche a dovere aspettare i 67 anni per ritirarsi dal lavoro. Un requisito del genere - spiega Domenico Proietti, segretario confederale della Uil - in Francia, Germania o nel Regno unito si raggiungerà solo dopo il 2020. Stesso discorso per le lavoratrici autonome che nel resto del Vecchio continente possono ancora andare in pensione a 65 anni. «Siamo tre anni sopra la media europea ed è inaccettabile», aggiunge Proietti.

La corsa alla parità non è frutto di un impeto paritario dei governi che hanno messo mano al sistema previdenziale, ma è figlia dell'esigenza di fare cassa mettendo in sicurezza agli occhi dell'Europa almeno il sistema previdenziale. Senza tenere conto delle peculiarità delle carriere lavorative in rosa. Meno continuità nei versamenti dei contributi, per le interruzioni dovute alla maternità e un mercato del lavoro meno favorevole. Caratteristiche che l'evoluzione della società italiana non ha cancellato.

Fino al 2015 una risposta a questa situazione era stata Opzione donna, cioè la possibilità di anticipare il ritiro dal lavoro, con una decurtazione della pensione. La misura, varata dal governo Berlusconi è scaduta e non è stata rinnovata. Per quanto equa, nel senso che il ricalcolo contributivo dell'assegno ripaga nel lungo periodo l'anticipo, Quoziente donna non è sostenibile in un sistema previdenziale a ripartizione.

Negli ultimi mesi si era appunto pensato ad un allargamento dell'Ape social (anticipo del ritiro a 63 anni, senza costi per il lavoratore) ad alcune categorie di donne. Ieri il consulente economico di Palazzo Chigi Marco Leonardi ha spiegato che per le donne si pensa a uno sconto sul requisito degli anni di contributi dell'Ape social. Età anagrafica a 63 ani e anni di contributi necessari non più 30 ma, forse, 28 o 27. «Intervento insufficiente», spiega Proietti. «Noi proporremo cambiamenti sull'età e anche sulla consistenza delle pensioni». Orietta Armliato, del comitato Opzione donna social, parla di un intervento quantomeno timido. Alle donne servirebbe, anche attraverso l'Ape, «una riduzione dell'età di accesso magari una misura ad hoc tipo età 60/61 e 28 contributi».

Le ragioni delle donne si scontrano con le ristrettezze del bilancio che, nonostante il Pil, si sentiranno anche nellamanovra finanziaria. E poi sconteranno la concorrenza dei giovani, nel senso che il governo sta pensando di concentrare gli interventi di spesa sulla decontribuzione per i neo assunti. Intervento che in molti temono possa penalizzare i lavoratori ultra 50 anni.

E, indirettamente, anche le donne lavoratrici alla soglia della pensione.

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