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Doppio mandato, via il tetto: cade l'ultimo tabù grillino

Il capo M5s pronto a chiedere una deroga in caso di urne anticipate. Dallo streaming alla tv, ecco tutti i dietrofront

Doppio mandato, via il tetto: cade l'ultimo tabù grillino

Non accadeva da tempo che i due si trovassero d'accordo. È successo sull'ennesimo tabù delle origini da abbattere: il vincolo del doppio mandato.

A dirlo in chiaro è stato Alessandro Di Battista, mercoledì sera, ospite di Lilli Gruber a Otto e Mezzo su La7. Chi invece lo pensa ma non lo dice è Luigi Di Maio, capo politico in bilico, ministro «precario» e vicepremier in ombra. «Luigi rimane comunque capo politico confermato su Rousseau», dice chi gli è vicino, barricandosi dietro il responso dell'urna virtuale di Davide Casaleggio. E se accadesse quello che lo stato maggiore considera «l'irreparabile»? Ovvero un ritorno anticipato alle urne, con crisi di governo entro il 20 luglio e voto in autunno? La soluzione ci sarebbe e frulla nella testa del capo politico, con maggiore insistenza, almeno da lunedì scorso, giorno del vertice con i ministri M5s, quando il leader grillino ha paventato concretamente l'ipotesi di una campagna elettorale balneare. «Se le cose precipitassero improvvisamente, si può pensare di fare un'eccezione alla regola del doppio mandato», sospirava un deputato martedì pomeriggio, poco più di 24 ore prima dell'apertura di Dibba nel salotto della Gruber.

Una scadenza elettorale last minute troverebbe un M5s con una leadership dimezzata, appesa proprio alla regola aurea del tetto di due mandati nelle istituzioni. In questa situazione, l'intera classe dirigente stellata sarebbe costretta a tornare a casa. Quindi sta emergendo l'unico canovaccio che non farebbe precipitare i grillini nel caos. La scena è così immaginata da maggiorenti e peones: Di Maio che va con «il cappello in mano» di fronte ai numi tutelari, Grillo e Casaleggio Jr., a chiedere una deroga una tantum, straordinaria, al tabù dei due mandati, già scalfito a livello comunale. Dal gruppo parlamentare il coro è unanime: «Il problema più grosso è che Casaleggio non vuole assolutamente cedere». Ma la speranza è che il guru, messo davanti alla cruda realtà, rinunci in via eccezionale alla regola paterna. E non sarebbe certo la prima volta. In principio fu lo streaming. Messo da subito da parte, nella scorsa legislatura, in favore di più pragmatiche cene romane e riunioni carbonare inaccessibili alla stampa. Poi c'è stato il mantra del «mai alleanze con i partiti», tradito dal «contratto» firmato con la Lega. Ormai sei anni fa, i primi parlamentari che si azzardavano ad andare in televisione venivano buttati fuori senza troppi complimenti. Ora i grillini rampanti litigano tra di loro per un posto in scaletta nei talk show.

Come dimenticare la candidata a sindaco di Genova Marika Cassimatis, depennata da Grillo nel 2017 dopo aver vinto le comunarie; un caso esemplificativo di giravolta sulla regola dei «candidati scelti dalla base». È stata abbandonata l'abitudine della rotazione dei capigruppo di Camera e Senato, altra tradizione del Movimento delle origini. Dimenticato l'«esame di Diritto Costituzionale» per le cariche elettive. Grandi cambiamenti anche rispetto ai tempi in cui bastava un semplice avviso di garanzia per far dimettere un eletto del M5s o per impedirgli di candidarsi.

Secondo il Codice Etico varato il 30 dicembre 2017, l'obbligo di dimissioni e l'incandidabilità scattano soltanto dopo la condanna in primo grado. Poi le ultime capriole: via libera agli apparentamenti prima delle elezioni, per il momento solo a livello amministrativo. Stessa cosa per il vincolo dei due mandati: già decisa l'abolizione per i consiglieri comunali.

In attesa della caduta del tabù per i parlamentari.

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