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Dubbi su Hillary e Trump: l'America in fase di rigetto

I principali candidati non convincono. E così Bloomberg, terzo incomodo, si prepara la strada

Dubbi su Hillary e Trump: l'America in fase di rigetto

L'America sta soffrendo una crisi di rigetto. Sia il trapianto di Donald Trump come candidato unico e separato dei repubblicani, che quello troppo lobbista e istituzionale della Clinton, provocano reazioni di rifiuto all'interno degli stessi partiti. Fra un anno il nuovo presidente americano sarà già insediato a Washington dopo essere stato eletto a novembre, ma la politica, come la stessa società americana, non trovano pace. Fra cinque giorni sarà la volta del caucus in Iowa e il lunedì successivo nel New Hampshire. Ai nastri di partenza sempre loro, Trump per il GOP e Hillary per i democratici, ma tutti si accorgono che mai e poi mai si era vista una tale rissosità isterica e personalizzata come durante questa prima fase della campagna elettorale. E dunque i due campi sono in subbuglio per trovare un'alternativa, un piano B. Ecco dunque spiegata la natura di una eventuale candidatura dell'ex sindaco di New York, Michael Bloomberg. Bloomberg è un repubblicano ma correrebbe come indipendente: adorato dai newyorchesi, abortista, pro matrimonio gay, liberal e conservatore al tempo stesso rappresenterebbe il giusto mix che l'elettore medio americano gradirebbe senza estremismi ed estremisti.In campo repubblicano i conservatori, l'anima del partito, sono furiosi: Trump sembra inarrestabile malgrado la proposta di chiudere le frontiere ai musulmani di tutto il mondo, cosa che in America suona come una bestemmia contro la Costituzione, nata proprio per garantire un rifugio a tutti gli esseri umani senza discriminazioni religiose, razziali, politiche o di genere. Gli arabo-americani sono milioni e protestano come americani, non come musulmani. Questa reazione di rigetto rianima i conservatori del Grand Old Party i quali come vecchi sacerdoti del tempio, vorrebbero essere liberati alla svelta dall'ingombrante outsider che si autofinanzia e non ha dunque bisogno di raccogliere fondi. Bloomberg risponde, libretto degli assegni alla mano, di poter correre rubando voti sia alla Clinton che a Trump, e gettando sul tavolo un miliardo di dollari. È pronto, ma non subito. Bisogna prima vedere come andrà la prima fase dei caucus che sono delle curiose forme di primarie con corsa campestre dei concorrenti che contano sul campo i propri elettori. Se Trump darà segni di debolezza e se Hillary mollerà (come molti pensano a causa della vicenda di Bengasi e delle email personali usate come governative) allora l'ex sindaco di New York metterà in campo la sua elegante figura di conservatore liberal che però non è popolarissimo nel resto dell'America.E poi abbiamo Bernie Sanders, settantacinque anni, che si è autoproclamato socialista in un Paese in cui non esiste un partito socialista e dove semmai ha vissuto nelle tenebre e nell'ortodossia il vecchio Partito comunista degli Stati Uniti. In che cosa consista il socialismo di Sanders nessuno l'ha capito bene, forse nemmeno lui, ma l'aggettivo colpisce i giovani e i radicali che guardano con simpatia al socialista inglese Jeremy Corbyn che nel Regno Unito rappresenta l'antimateria e l'antitesi di Tony Blair, liquidato ormai come un losco alleato di George W. Bush. Sanders punta su questo: polarizzare l'elettorato anti-Bush, che somiglia all'antico elettorato anti-Nixon, su cui poggiarono le fragili sorti di Jimmy Carter. C'è un'America di sinistra che chiede di essere rappresentata e Hillary Clinton non sa e non vuole rappresentarla. Sanders appare nei dibattiti e nei footage televisivi come un vecchio matto alla ricerca di un carisma ancora in costruzione, ma comincia a piacere davvero. Nel campo opposto, all'elettorato socialista di Sanders si oppone l'elettorato conservatore ispirato da Ted Cruz, senatore del Texas dove fu insediato grazie all'appoggio di Sarah Palin, la vulcanica ex governatrice dell'Alaska che adesso appoggia ufficialmente con un folcloristico endorsement Donald Trump. Donald Trump ha ricevuto sia il sostegno della pasionaria dei tea parties che quello inatteso di Vladimir Putin che lo trova divertente, convincente e con la schiena dritta: un altro se stesso. Trump ha dichiarato di non disprezzare il sostegno di Mosca ed ha detto che con la Russia occorre un rapporto non isterico ma fondato sulla guerra al terrorismo comunque si chiami e dovunque si annidi. Di conseguenza, il diffuso sentimento anti-russo dei conservatori americani consiglierebbe loro un candidato più ortodosso e pensano chiaramente a Ted Cruz, cubano di origine come l'elegante senatore della Florida Marco Rubio, ma di temperamento «wasp» come Ronald Reagan. I conservatori vorrebbero a questo punto che dei pesi morti come Jeb Bush, fratello, figlio dei presidenti omonimi ed ex governatore si decidessero a togliersi dalle scatole per non disperdere i voti. E questo Trump lo sa. A Trump, il senatore Cruz piace moltissimo e glielo dice nei fuori onda, ma sa anche che è l'unico suo possibile avversario. E dunque tende a metterlo ko arrivando a mettere in dubbio la sua eleggibilità, visto che Ted è nato per caso in Canada. Tanto accanimento ha un solo fine: depotenziare Cruz per poi chiamarlo, dopo lo scontro, a fare team con lui dopo la convention e la candidatura ufficiale. L'anima dell'americano medio, bianco o nero, latino o asiatico, è oggi come ieri centrista. Non cerca avventure, non cerca guerre, ma ha un cuore che batte in modo diverso dai cuori europei e dunque è difficilmente riconducibile alle categorie aristoteliche di destra e sinistra. L'americano medio è in ansia e vorrebbe un abbassamento di toni.

Su questo conta l'ex sindaco di New York che si scalda in panchina augurandosi il peggio sia per Hillary che per Donald.

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