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Quel dubbio di Zingaretti: "Di Maio fa saltare tutto..."

Veto del leader M5s alla nomina del direttore Tg3 E il segretario Pd lancia l'allarme sul governo

Quel dubbio di Zingaretti: "Di Maio fa saltare tutto..."

«Di Maio vuole rompere, far saltare il governo e tornare in braccio a Salvini». L'accusa rimbalza dai piani alti del Nazareno al Transatlantico di Montecitorio, mentre si susseguono i segnali di guerriglia nella maggioranza: lo scontro sulla prescrizione, la spaccatura nel voto sulla Commissione von der Leyen, gli attacchi di esponenti grillini al Pd, le candidature contrapposte nelle regioni.

Ma a far scattare l'allarme rosso è la Rai: nella notte tra martedì e mercoledì, raccontano dal Nazareno, i Cinque Stelle hanno fatto saltare l'accordo già chiuso sulla spartizione delle nomine nella tv di Stato. «È stato Luigi Di Maio a mettere il veto sul nome di Mario Orfeo alla direzione del Tg3», dicono. L'ex direttore generale di Viale Mazzini era destinato a sostituire Giuseppina Paterniti, attuale direttrice, lottizzata ai tempi del governo gialloverde dai grillini, che si erano assicurati sia il Tg1 che il Tg3 mentre il Tg2 era stato destinato al salviniano Gennaro Sangiuliano.

Cambiata la maggioranza, le poltrone vanno ricalibrate, e il Pd aveva chiesto e apparentemente ottenuto di riprendersi il baluardo storico costituito dalla testata giornalistica di Rai Tre. L'ad Fabrizio Salini aveva condotto la lunga mediazione, e tutti sembravano contenti del risultato, inclusa la Lega che può tenersi la decorativa poltrona del presidente Rai Marcello Foa. Invece, niente: «Di Maio ha detto che quello di Orfeo era un nome da vecchia Rai e che non lo avrebbe fatto passare», spiegano in casa Dem. L'accordo è saltato: l'unico a sloggiare sarà per ora Carlo Freccero, il cui contratto a Rai 2 (che ha portato in pochi mesi ad una strepitosa debacle negli ascolti) scade per legge in questi giorni.

Ma la grande palude Rai c'entra poco, dicono al Nazareno: è «solo un pretesto». Per alzare la tensione nella maggioranza, assestare un nuovo calcio negli stinchi agli alleati dem e preparare il terreno a una crisi di governo con la quale Gigino si vendicherebbe finalmente dell'odiato Conte, mandandolo a spasso, e offrirebbe a Salvini la prova d'amore, aprendo la strada alle elezioni. Quando? «A fine gennaio, per votare a marzo», dice un esponente dem. «Di Maio aspetta le elezioni regionali, e tifa per la sconfitta di Bonaccini per mandarci alle urne nel momento di massima debolezza». Non a caso in Calabria i grillini avranno un proprio candidato presidente e ieri correva voce che anche in Emilia si preparassero a schierarlo, contro il candidato Pd. Nel partito Cinque Stelle ormai è guerra per bande, come si è visto dalla spaccatura in tre del gruppo europeo nel voto sulla Commissione. Con Vincenzo Corrao, fedele di Di Battista (che vuole elezioni in fretta per tornare ad avere uno stipendio da parlamentare) all'attacco del Pd («E' parte dell'establishment») e delle «supercazzole» di Gentiloni, indicato dal governo Conte.

Ma anche il Pd è spaccato, e c'è chi denuncia che l'allarme contro Di Maio che vuole «far saltare» il governo serva solo «a fare pressione su colui che, ahinoi, sta diventando il vero leader del Pd: Grillo», per spingerlo a blindare la coalizione. Goffredo Bettini auspica un'alleanza organica con M5s, definisce «un leader politico» Conte e esalta il grande intuito politico di Beppe Grillo, che «ha scelto di stare con noi contro Salvini». Ma la minoranza Dem va all'attacco. Francesco Verducci chiede «un congresso aperto» per decidere tra «l'alleanza strutturale» coi grillini perseguita da Bettini, Zingaretti e Orlando e «un Pd che abbia l'ambizione di riunire tutto il centrosinistra».

E Matteo Orfini è tranchant: «Così ci stiamo riducendo ad un succedaneo del M5s, ansiosamente appesi ai video dell'ex comico Beppe Grillo».

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