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Due toghe torinesi sotto accusa. Spiarono senatore senza permesso: "Ascoltato per caso"

Era stato un ex magistrato, Pietro Grasso, sconvolto per quello che aveva letto, a suggerire al Senato la segnalazione ai titolari dell'azione disciplinare

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Era stato un ex magistrato, Pietro Grasso, sconvolto per quello che aveva letto, a suggerire al Senato la segnalazione ai titolari dell'azione disciplinare. E da quell'input è partita la procura generale della cassazione che ora ha aperto un fascicolo su due toghe torinesi: il pm Gianfranco Colace e la giudice Lucia Minutella.

La storia ha dell'incredibile e si fa fatica a raccontarla, nel pur disastrato panorama della giustizia italiana. Per tre anni, dal 2015 al 2018, la procura di Torino ha intercettato l'allora senatore del Pd Stefano Esposito. Intendiamoci: i pm ascoltavano le conversazioni di un imprenditore, Giulio Muttoni, il re dei dei concerti sotto la Mole; ma nel giro di due o tre settimane la polizia giudiziaria aveva scoperto che fra i suoi interlocutori più assidui c'era un parlamentare: appunto Stefano Esposito, prima deputato e poi senatore, noto anche per essere un convinto sostenitore della Tav pur militando a sinistra.

Gli ascolti sono però andati avanti, come se nulla fosse: agli atti risultano circa cinquecento conversazioni fra Muttoni e Esposito. Un numero spropositato che fa apparire quasi comica la catalogazione delle chiamate come casuali, ma in ogni caso la procura non ha mai chiesto, neppure successivamente, l'autorizzazione all'utilizzo delle conversazioni a Palazzo Madama.

E il giudice nel corso dell'udienza preliminare ha avallato senza battere ciglio l'operato della procura. Anzi, le intercettazioni sono diventare la prova regina per disporre il rinvio a giudizio di Esposito, oggi non più parlamentare, per una sfilza di reati: turbativa d'asta, corruzione e traffico di influenze.

L'ex senatore si difende nel merito - vedi intervista - ma qui la forma conta come e più del contenuto perché sono in gioco le protezioni riservate a un parlamentare e il rispetto dell'articolo 68 della Costituzione. Quello scudo è stato fatto a pezzi.

Così la vicenda si apre a ventaglio: il processo, su cui gravano pesanti incognite, è ancora alle battute iniziali; intanto, la procura generale si muove, come anticipato dalla Stampa, e mette sotto indagine disciplinare i due magistrati che verranno sentiti dopo la pausa estiva. Contemporaneamente, il Senato ha sollevato un conflitto di attribuzione contro la procura di Torino davanti alla Consulta: l'udienza è prevista per il 21 novembre.

Si può ipotizzare un parallelo con la querelle scoppiata in Toscana fra Matteo Renzi e la magistratura fiorentina. Ma in quel caso si trattava di messaggi e whatsapp e dunque ci poteva essere un qualche margine di dubbio sulla classificazione di queste nuove forme di comunicazione: la Corte costituzionale nelle scorse settimane ha dato ragione all'ex premier e dunque quel materiale informatico è ora carta straccia e non può più essere utilizzato contro Renzi nel procedimento Open.

Qui, le cose appaiono se possibile più semplici: si tratta delle classiche, vecchie telefonate e si resta basiti a leggere che la formula della causalità ha consentito ascolti interminabili, per tre anni di fila, di un parlamentare. Il tutto lavorando all'inizio, quando Esposito non era nemmeno all'orizzonte, sull'ipotesi di un reato gravissimo, l'associazione a delinquere di stampo mafiosa, che si è poi persa nelle nebbie dell'indagine senza lasciare traccia. A otto anni dall'incipit della storia, i nodi vengono al pettine.

SteZu

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