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E la Corte dei conti certifica l'accanimento contro il ceto medio

La denuncia dell'organo di controllo: il 35% del gettito viene da due scaglioni di imposta

E la Corte dei conti certifica l'accanimento contro il ceto medio

Le politiche fiscali imposte dall'austerity hanno ucciso la classe media. In Italia, ha segnalato ieri la Corte dei conti nella presentazione del Rapporto sul coordinamento della finanza pubblica, «oltre il 35% del gettito è assicurato da meno del 5% dei contribuenti, collocati negli ultimi due scaglioni di imposta», mentre «il 44% dei soggetti rientranti nel primo scaglione contribuisce, invece, al gettito per poco più del 4 per cento». L'obiettivo di spostare il carico fiscale sui soggetti con maggiori disponibilità appare conseguito, ha osservato il presidente dell'organo della magistratura contabile Angelo Buscema.

Ma è proprio la distribuzione primaria del reddito che costituisce il maggior fattore di fragilità. La netta prevalenza di redditi bassi (il valore è di 21mila euro) e la limitata presenza di redditi medio-alti e alti fa sì che, «un onere improprio venga caricato su redditi medi e medio-bassi», in particolare, i contribuenti tra i 28 e i 55mila euro, che vedono al contempo il massimo balzo di aliquota legale (+11 punti) e la massima riduzione sul totale delle detrazioni (-28 punti). La Corte dei conti non ha fatto altro che ribadire quella che è un'antica stortura del nostro sistema fiscale ideato apposta per scoraggiare il miglioramento della condizione economica individuale, ma per tenere tutti soggiogati in uno stato di semi-povertà in virtù del quale beneficiare dell'assistenzialismo statale. All'avvicinarsi dei 35mila euro di reddito annuo lordo l'Irpef «divora» tutto il guadagno riportando il contribuente indietro.

La classe media ogni giorno muore così. Ecco perché i magistrati contabili hanno auspicato «una riforma strutturale del sistema fiscale» e tale riforma va fatta «abbandonando la logica degli aggiustamenti al margine». Al contrario, pur non dichiarandosi contraria al reddito di cittadinanza la Corte ha evidenziato che «l'obiettivo di aiutare una congrua quota di poveri assoluti richiederà un importante sforzo finanziario supplementare, rispetto a risorse che pure sono cresciute in misura incoraggiante».

Non è l'unico intervento a gamba tesa sul programma del governo gialloverde che sia stato effettuato ieri. In materia previdenziale è stato sottolineato che «è essenziale preservare i miglioramenti realizzati in questi decenni: ogni elemento di possibile flessibilizzazione dell'attuale assetto dovrebbe contemplare compensazioni in grado di salvaguardare la sostenibilità finanziaria di lungo periodo». Insomma, è cruciale non creare debito pensionistico aggiuntivo. Se da un lato si riconosce che «certamente la correzione effettuata con la legge Fornero è stata brusca», dall'altro versante si rileva che «è la virulenza della crisi sovrana che l'ha imposta». Dopo gli aggiustamenti apportati sugli esodati e con l'Ape social e volontaria, «sono stretti, se non del tutto esauriti, gli spazi per ulteriori attenuazioni degli effetti della legge, a meno di un ripensamento del sistema».

Al contrario, la Corte dei conti ha rimarcato come il triennio 2018-2020 rappresenti un'occasione unica per ridurre il debito pubblico. «Il congiunto operare della ripresa dell'inflazione e del permanere del costo medio del debito su livelli particolarmente bassi dovrebbe garantire, in deroga a quella che è la regola dell'esperienza storica italiana ed in generale dei Paesi ad alto debito, un differenziale negativo tra costo del debito e crescita economica (-0,2 in media nel triennio)». L'incremento delle entrate, pertanto, non dovrebbe essere utilizzato per nuove spese, tutt'al più per continuare su un virtuoso percorso riformista.

L'esatto contrario delle tesi di Di Maio.

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