Politica

E il Pd regala 47 milioni alla casta della Camera: "ennò non lavora più"

Nella commissione che ha cancellato i tagli ai salari dei commessi tre democrat: "Togliere scatti a chi prende 11mila euro? Disincentiva"

E il Pd regala 47 milioni alla casta della Camera: "ennò non lavora più"

Il Pd renziano è sempre di più la Penelope della politica: di giorno cuce tagli alla spesa pubblica, di notte li disfa.

La conferma arriva dalla sentenza che lo scorso 23 luglio ha accolto il ricorso dei dipendenti della Camera cancellando i tetti ai loro super stipendi. Eppure i tagli decisi a fine settembre 2014 con un accordo tra i presidenti dei due rami del Parlamento erano stato criticati perché troppo timidi nel ridimensionare salari così generosi che almeno 500 dipendenti guadagnavano più dei parlamentari. La notizia ha scatenato la consueta polemica contro l'autodichia, cioè la speciale facoltà di Camera e Senato di risolvere le proprie controversie giuridiche attraverso un «tribunale» interno. In realtà la vera ipocrisia è spacciare per qualcosa di paragonabile a un tribunale la «Commissione giurisdizionale per il personale» della Camera dei deputati, composta non da giudici indipendenti, ma da tre parlamentari, seppur estratti a sorte. E le centinaia di dipendenti che hanno fatto ricorso contro il tetto massimo ai salari hanno fatto bingo: i «giudici» sono tutti e tre del Pd. Non solo il presidente Francesco Bonifazi, renzianissimo tesoriere del partito, ma anche gli altri due membri, il deputato barese Dario Ginefra e Fulvio Bonavitacola per il quale, altro scherzo del destino, la sentenza che ai contribuenti costerà 47 milioni di euro è stata l'ultimo atto da parlamentare. Due giorni dopo si è dimesso ed è andato a fare il vice di Vincenzo De Luca alla Regione Campania. Amaro il commento di Gregorio Fontana, questore della Camera: «Sono lontano dalle posizioni della Boldrini, ma stavolta aveva avuto coraggio. Il Pd invece con una mano taglia, con l'altra taglia la mano che ha tagliato».

In sostanza, i tre generosi piddini hanno confermato il tetto massimo che vale per tutti i dipendenti pubblici, 240mila euro, ma ritenuto illegittimi i sotto-tetti articolati a seconda della funzione. Il risultato paradossale (che nessun vero giudice avrebbe potuto avallare) è che ora funzionari di grado più alto potrebbero trovarsi a guadagnare la stessa cifra (mostruosa) di un commesso, che alla Camera può arrivare a intascare 140mila euro l'anno, 11mila euro lordi al mese. Il tetto, fermando la progressione automatica per anzianità dopo 23 anni, avrebbe portato gli stipendi di questa categoria, tra cui quello dei barbieri che tagliano i capelli ai parlamentari, a 99mila euro, non proprio una paga da fame. E tra l'altro non tenendo conto delle altre voci della busta paga, come indennità di unzione, incentivi e contributi.

Le argomentazioni di Bonifazi & co. sono da schianto frontale con la logica. A parte il livellamento delle paghe irrispettoso delle mansioni e lo scollamento con quelle del Senato, dove per ora i tagli restano in vigore, la sparata più grossa vergata nella sentenza è che «il rigido blocco dell'anzianità» metterebbe in pericolo «il buon andamento dell'organizzazione», infatti bloccando gli aumenti per anzianità dopo «soli» 23 anni, a fine carriera la Camera «si espone» a «comportamenti poco virtuosi e a cali di produttività determinati da assenza di competizione». Capito? Un usciere che ha ancora dieci anni di carriera davanti potrebbe decidere, suo malgrado, di arrendersi al fancazzismo, privato dallo stimolo di arrotondare quei miseri 11mila euro al mese. Dunque, tre parlamentari del Pd hanno sostenuto nero su bianco che gli scatti di anzianità incentivano a lavorare, dimenticando che anche se si passa il tempo a giocare con lo jo-jo, gli scatti scattano lo stesso. Se saranno questi stessi parlamentari a votare future leggi sulla meritocrazia, stiamo in banca.

Ora un'altra commissione dovrà decidere se sospendere la sentenza, e il pagamento degli arretrati, in attesa del nuovo grado di giudizio. Alla guida della Commissione c'è Mauro Guerra, deputato del Pd.

Contribuenti, non state sereni.

Commenti