Politica

E Prada mette in scena la moda (troppo) umana

Debutta con successo Lee Wood da Bikkembergs. Lusso estremo da Zakirov

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«Tutta la vita umana è profondamente immersa nella non verità» ha scritto Nietsche in Umano troppo umano. Non si riesce a pensare ad altro mentre Miuccia Prada parla di «umanità, semplicità, autenticità e modestia», del «potere che ha stufato e dell'eccesso di violenza» oltre che di «velluto millerighe, fiori stupidi e paesaggi dipinti da un pittore della domenica». Subito dopo fa sfilare una collezione divisa tra nostalgia e speranza: un inedito d'autore per lei. Stavolta ci sono gli anni del maggio francese e la capacità di ribellarsi di un'intera generazione in una sorta di dialogo prima estetico e poi etico con le incognite della nostra realtà. La prima uscita è di una banalità sconcertante: i jeans di velluto beige, la camicia Oxford e il pullover grigio che hanno rivestito tutti gli attivisti del Movimento Studentesco e i loro acerrimi nemici della destra. Seguono i trench a scatola dei protagonisti di Arancia Meccanica, film del 1971 citato anche nella colonna sonora, quindi i baschetti, cinture e scarpe tipo le Clarks però in pelliccia, amuleti di legno e corno oppure collane di conchiglie al collo, pullover di angora ricamata con i famosi «fiori stupidi» oppure con una superba stampa che sembra dipinta a mano. Se l'autore è un pittore della domenica si chiama Banksy, il più bravo e quotato tra gli esponenti della street art. I colori sono bellissimi, come ripresi dalla natura: foglie bruciate dal sole, il mosto dell'uva, la terra in tutte le sue sfumature chiare o scure. Le donne di conseguenza indossano quei tailleur al ginocchio (sempre in velluto a coste) che le mamme imponevano al posto delle minigonne e i completini in maglia ricamata nei colori più squillanti e teneri del mondo. Divine tutte le borse: cartelle, pochette, rigide a soffietto. La sensazione è che manchi il nuovo, ma certo è voluto, un messaggio in una bottiglia chiamata moda che dice una sola parola: «Svegliatevi». Del resto le sfilate di ieri a Milano sono come un gigantesco stargate, ovvero un portale che permette di collegare in maniera quasi istantanea luoghi e tempi molto lontani tra loro. Succede ad esempio da Dirk Bikkembergs dove esordisce con successo il nuovo direttore artistico, Lee Wood, vecchia conoscenza degli addetti ai lavori che per 16 anni ha lavorato con Versace prima di volare con le sue ali. «Questo marchio è bellissimo e viene dalla storia leggendaria dei Sei di Anversa» dice spiegando d'essersi ispirato a quel che nel 1988 lanciò nel mondo della moda un gruppo di studenti belgi tra cui Bikkembergs: avanguardia e spirito nord europeo. Sparisce quindi l'idea della sport couture e riemerge quel gusto austero con un sapore a metà strada tra l'architettura e il militare. Federico Curradi fa invece dialogare le linee degli anni '40 e '50 con l'estetica degli anni '90. «In the middle of the night» spiega prima di far sfilare i suoi poetici ragazzi con stupende camicie in pashmina e avvolgenti cappotti in tessuti eco friendly ricamati a mano.

Sui materiali nessuno può competere con Ferutdin Zakirov, l'uzbeko di stanza a Milano che usa coccodrillo nappato e struzzo per giubbotti ai confini della realtà, il cashmere più sottile del mondo per le polo e un'idea di uomo tra Mastroianni e il duca di Windsor.

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