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E Renzi si sfiducia da solo: "Così non duriamo un anno"

Il premier costretto a cancellare di suo pugno le marchette firmate Pd-Ncd dal maxiemendamento alla Stabilità, difficile chiudere l'Italicum entro Natale. Province, scoppia la grana dei dipendenti

E Renzi si sfiducia da solo: "Così non duriamo un anno"

«Tenere anche solo un altro anno così è dura». Il lamento filtra dall'entourage renziano, nelle ore più convulse della preparazione del maxiemendamento sulla Stabilità.

Al ritorno da Bruxelles, dove ha incassato attestazioni di stima dalla Commissione Ue alle sue riforme, il premier ieri è ripiombato nel caos romano, con la legge di Stabilità in panne al Senato e l'aggrovigliatissima matassa del maxiemendamento (su cui solo in serata è riuscito a porre la fiducia) tutta da dipanare. Tanto che, raccontano, nel pomeriggio di ieri è stato lo stesso Matteo Renzi a farsi portare sulla sua scrivania il testo, rimboccate le maniche, a cassare con un tratto di penna rossa, capitolo per capitolo, le mille modifiche più o meno clientelari infilate dai suoi stessi parlamentari (Pd e Ncd in prima linea) nel testo. Sotto la scure, alla fine, sono dovuti cadere anche capitoli di spesa inseriti dallo stesso governo. «Stiamo cercando di far sì che la legge di Stabilità non sia un monstrum di norme con tanto di leggi marchetta», ha fatto sapere il premier.

Sullo sfondo, intanto, una mano essenziale della partita sulle riforme rischiava di andare a monte: Renzi vuole che la legge elettorale sia incardinata nell'aula di Palazzo Madama prima della pausa natalizia, per poterne accelerare l'esame alla vigilia dell'elezione del nuovo Capo dello Stato, ma ieri l'Italicum ha corso il pericolo di restare vittima dell'impasse sulla legge di Stabilità. Le opposizioni, nella conferenza dei capigruppo convocata ieri era, hanno fatto fuoco e fiamme contro la richiesta di modifica del calendario, e alla fine il voto che ha incardinato l'Italicum in aula è slittato praticamente alle prime luci dell'alba, in coda alla Stabilità.

Intanto il governo deve affrontare la guerriglia dei sindacati: dopo l'incontro di ieri con il ministro Poletti Cgil, Cisl e Uil hanno minacciato «lotte crescenti» contro il Jobs Act, e nel frattempo hanno soffiato sul fuoco spargendo allarmi infondati ma efficaci tra i dipendenti delle Provincie in via di abolizione, paventando migliaia di esuberi. Risultato: assemblee permanenti e occupazioni degli uffici delle Provincie, col sottosegretario Delrio costretto a scendere in campo per rassicurare: «Il personale delle Province non rimarrà per strada ma verrà assorbito tramite blocco di tutte le assunzioni in tutte le amministrazioni dello Stato».

Tra uno stralcio e l'altro della Stabilità, il premier ha trovato il tempo per un'intervista a Radio 105: «Io non voglio sforare» il patto di Stabilità, ha spiegato, «perché voglio rispettare le regole. L'Italia in Europa è considerata lo studente bravo che non si applica: “faremo le riforme”, e non si fanno mai. Noi invece le cose le stiamo facendo davvero». E a chi gli contesta di farle a colpi di fiducia replica spavaldo: «Posso garantire che il numero aumenterà, in futuro». Un futuro, quello del suo governo e dell'attuale legislatura, su cui continua a mostrarsi ottimista: «Da qui al 2018 testa bassa e lavoriamo per l'Italia». Concetto ribadito anche in serata su RaiUno: «È come se l'Italia non sapesse farsi i selfie. Quando è fotografata da altri è bellissima, quando ci fotografiamo noi è sempre un po' sbiadita. Ma questo è l'anno buono, ci credo anche per l'Expo»

A sentire i suoi, però, tirare avanti così non sarà facilissimo: «Abbiamo una maggioranza che si occupa più di ordire trappole al governo che di altro.

E se alla fine non è Renzi in persona a prendere in mano le cose, non si riesce a portare a casa niente», è lo sfogo che si raccoglie.

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