Politica

E Renzi si traveste da spettatore "Tocca a loro, io sto zitto due anni"

L'ex premier scherza coi cronisti: «Dovete imparare a ignorarmi»

E Renzi si traveste da spettatore "Tocca a loro, io sto zitto due anni"

Roma L'unica battuta politica, Matteo Renzi la concede a sera, inseguito dai cronisti mentre il centrodestra si lacera clamorosamente: «Ragazzi - replica sorridente alla raffica di domande - lo vado ripetendo dal 5 marzo: ora tocca a loro. Perché mi cercate ancora?».

Il Pd, in questa fase, per lui deve fare solo lo spettatore: «Domani - dice- o al massimo domani pomeriggio, c'è l'elezione del presidente del Senato e la mia idea è sempre la stessa. Tocca a loro». Scherza: «Mi chiedete la posizione del Pd? Leggo quello che scrivete ed ho appreso di non essere più il segretario del Pd. Maurizio Martina è il segretario. Io starò zitto due anni», promette (pochi ci credono, però).

Spettatore o no, sta di fatto che è lui, al suo debutto da parlamentare come «senatore di Firenze, Scandicci, Lastra a Signa e Impruneta», una delle superstar della prima giornata di legislatura. Il più inseguito, fotografato, salutato, abbracciato, osservato dai colleghi d'aula e dai cronisti in tribuna. Arriva di buon mattino, gira per il Palazzo scortato dal capogruppo in pectore Andrea Marcucci, si perde nel labirinto dei corridoi vellutati del Senato: «Devo capire come funziona qui, per uno che ha fatto sempre l'amministratore, o il premier, è un altro mondo». Ironizza con i giornalisti: «Dovete imparare a ignorarmi. Anche con vostra soddisfazione». Rifiuta commenti sulla situazione, si limita a confidare di essere ancora incerto sulla propria destinazione da membro del Senato: «Forse in Commissione Cultura, forse in Commissione Difesa: devo decidere».

Va a rendere omaggio alla neo-senatrice a vita Liliana Segre, e al nobel Carlo Rubbia. Ma non mancano gli scambi di cordialità con gli avversari: in aula saluta e confabula con Matteo Salvini, fa due chiacchiere con Pierluigi Paragone, suscita la simpatia di Maurizio Gasparri: «Stamattina, in Senato, mi è venuto a salutare - racconta l'esponente di Forza Italia - È stato carino, educato, la sua buona educazione mi ha colpito». Umberto Bossi attraversa l'emiciclo e sale nei banchi Pd per andare a stringergli la mano, e Renzi gli presenta i senatori che lo circondano, Francesco Bonifazi e Francesco Verducci.

In aula assiste al discorso di Giorgio Napolitano seduto tra Teresa Bellanova e Bonifazi, in seconda fila, e non si concede neppure una smorfia rivelatrice mentre il presidente emerito sferza il Pd, così come poi svicolerà davanti ad ogni richiesta di commenti. «Lo ho visto disteso, allegro e in gran forma», dice la ministra Valeria Fedeli.

Ma di politica si occupa eccome: a sera, lasciato il Senato dopo il patatrac nel centrodestra che rende incerto ogni scenario, riunisce i suoi parlamentari al Nazareno per capire il da farsi, ed evitare che incursioni altrui (ad esempio un'offerta grillina di votare un Dem alla Camera, Franceschini o Delrio) possano spaccare il Pd, già attraversato dalla faglia tra chi è ansioso di tornare in partita e di partecipare ad eventuali manovre governative e chi è sulla linea renziana dell'opposizione. E in quest'ottica c'è la partita dei capigruppo da portare a termine: per Renzi la coppia resta quella costituita da Andrea Marcucci al Senato e Lorenzo Guerini alla Camera. I non renziani temevano che, nel segreto dell'urna, i voti di svariati parlamentari andassero a Paolo Romani, su cui - accusano - era stata siglata un'intesa tra Luca Lotti e Gianni Letta. La minoranza orlandiana propone al Pd di votare «nomi di garanzia» e i renziani fiutano la trappola.

All'assemblea dei gruppi di stamattina ribadiranno la linea dell'astensione: «Si sta giocando con il tema delle presidenze di Camera e Senato per regolare rapporti di forza dentro le coalizioni tra i partiti», ammonisce Guerini. LCes

Commenti