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Ecco i nuovi Cospito. Il boss al 41 bis rifiuta le cure per lasciare il carcere duro

Benedetto Spera si è rivolto alla Cassazione. Che però ha detto no.

Ecco i nuovi Cospito. Il boss al 41 bis rifiuta le cure per lasciare il carcere duro

Nuovi Alfredo Cospito crescono. Ed ecco che Benedetto Spera, lo storico boss di Belmonte Mezzagno (Palermo), fedelissimo di Bernardo Provenzano, per «gravi motivi di salute» voleva la revoca del 41 bis che sta scontando nel carcere di Opera, a Milano, per essere uno dei responsabili della stagione stragista palermitana del '92. «Non accetta cure salvavita» è la motivazione a monte dell'istanza dell'avvocato. Ma per la Corte di Cassazione deve continuare a scontare il carcere duro a vita in quanto, proprio come è accaduto per l'anarchico Cospito, viene sancito che rifiutare le cure o i benefici di cui si potrebbe godere non deve incidere sulla condanna, perché non si tratta di una privazione punitiva imposta al carcerato, ma viene auto inflitta. La Cassazione sottolinea anche il principio di «non strumentalizzare la patologia». Il legale di Spera ha fatto leva sulle condizioni di salute «di notevole gravità» e sul fatto che il «grave stato di decadimento che affligge il condannato non gli consente di comprendere la necessità di sottoporsi ai trattamenti salvavita». Tant'è che il boss ha rifiutato un pacemaker. Insomma, non sarebbe in grado di discernere ciò che è per lui vitale anche per il grado di depressione da cui è afflitto. Una tesi che contrasta, però, con gli esiti delle perizie effettuate nei mesi scorsi in carcere, che attestano la lucidità dello stragista e la sua capacità di vigilanza. La Corte di Cassazione ha tenuto conto del parere dei medici e, esprimendosi a seguito del ricorso del legale di Spera contro il parere negativo del tribunale di sorveglianza di Milano alla revoca dell'ergastolo, ha dato anch'essa parere negativo. Il fedelissimo di Provenzano per la Cassazione è anziano, ma lucido e la sua è una scelta consapevole. È il sunto della decisione del collegio giudicante, presieduto da Stefano Mogini, che ricalca il parere espresso per Cospito, sottolineando come, se una persona «lucida» non consente di farsi curare è una sua decisione assunta in consapevolezza. Non può essere una motivazione valida al differimento dell'esecuzione della pena, ossia alla sospensione temporanea dell'ergastolo, il fatto che il boss abbia espresso palesemente di ritenere che gli interventi non cambiano la sua qualità di vita in carcere. Il rifiuto, per i giudici, non è «attribuibile ad ulteriore patologia mentale specifica di Spera, tale da non potersi considerare una scelta consapevole». Anzi, si aggiunge la condanna al boss a pagare le spese processuali e un'ammenda di 3mila euro.

Di notevole chiarezza risultano le precisazioni dei giudici su come non si debbano «strumentalizzare le patologie di cui si sia portatori in vista del risultato di ottenere il differimento della pena». E aggiungono che «la condizione di sofferenza autoprodotta dal condannato, realizzata cioè mediante comportamenti come la mancanza di collaborazione per lo svolgimento di terapie e di accertamenti o il rifiuto dei medicamenti e del cibo, non può essere presa in considerazione ai fini del bilanciamento tra esigenze di salvaguardia dei diritti fondamentali ed obblighi di effettività della risposta punitiva, non potendosi pretendere tutela di un diritto abusato ed esercitato in funzione di un risultato estraneo alla sua causa». Spera avrà tempo di riflettere sia sulla possibilità di farsi curare sia sulle azioni commesse al servizio della mafia. Quando fu arrestato nel gennaio 2001, dopo 9 anni di latitanza, dalla Squadra mobile di Palermo, non distante dal casolare a Mezzojiuso, in cui si nascondeva, c'era Provenzano lo si scoprì in seguito .

L'allora capo dei capi fuggì e ci sarebbero voluti più di 5 anni per porre fine alla sua latitanza lunga 43 anni.

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