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Ecco l'asse per le urne Pd, Lega, Fdi e grillini: legge elettorale subito

Fissata al 27 febbraio la discussione in Aula L'ira di Forza Italia: «Democratici indecenti»

Ecco l'asse per le urne Pd, Lega, Fdi e grillini: legge elettorale subito

Un blitz per accelerare sulla legge elettorale: il 27 febbraio si va in aula alla Camera, con tempi contingentati e voto entro marzo, magari anche con «fiducia tecnica». Ipotesi più probabile: l'estensione dell'Italicum modificato dalla Corte costituzionale, con premio alla lista e senza ballottaggio, anche al Senato.

Su mandato di Matteo Renzi, ieri sera il Pd ha proposto questa tabella di marcia a tappe forzate, trovando il sostegno di una maggioranza anomala: Cinque Stelle, Lega e Fratelli d'Italia, tutti i partiti interessati al voto in aprile. Contrari invece centristi, Sel e Forza Italia, con Renato Brunetta che commenta: «Il comportamento del Pd è indecente».

La «mossa del cavallo» è stata studiata negli ultimi giorni da Renzi, che ieri ha riunito i suoi al Nazareno per dare il via all'operazione, dopo aver verificato la possibilità di trovare una maggioranza parlamentare. Non a caso, del resto, dalla Lega raccontano che nelle ultime settimane il leader Pd si sia sentito più volte con Matteo Salvini, che ha fatto la testa d'ariete per il voto anticipato. L'obiettivo di Renzi è sgombrare il campo dall'«alibi» della legge elettorale, per aprire la strada alle elezioni in giugno, superando le obiezioni del Quirinale che pone come condizione la «omogeneità» dei sistemi elettorali tra le due Camere dopo il doppio pasticcio cucinato dalla Consulta. «L'ideale sarebbe fare un accordo blindato con Forza Italia, ma il Cavaliere non vuol votare e la tirerebbe per le lunghe», ragionava ieri un esponente Pd. Ecco allora l'ipotesi di aprire altri canali, e fare fronte comune con chi invece vuole accelerare.

Ora il leader Pd può mettere il partito, nella Direzione del 13 febbraio, davanti ad un quadro definito, e andare da una posizione di forza al braccio di ferro con la minoranza.

Contro il voto, Massimo D'Alema e - a ruota - Pierluigi Bersani minacciano scissioni e sfracelli vari; Michele Emiliano, da buon pm sia pur in aspettativa, annuncia «carte bollate», il suo supporter e conterraneo Francesco Boccia apre una stravagante raccolta di firme tra gli iscritti per chiedere il congresso anticipato (nel quale Emiliano si vorrebbe candidare a segretario, o anche a imperatore). «Sono necessarie ventimila firme nel partito per indire un referendum interno», spiega Boccia, «e io alla direzione del 13 febbraio gliele metto sul tavolo». Le firme, intende. Gli esperti di statuto Pd obiettano però che, non essendo mai stato fatto un regolamento attuativo, il referendum è difficilmente applicabile, e poi sarebbe comunque necessario un voto a maggioranza della Assemblea nazionale. Del resto un pezzo della minoranza si dissocia dal tentativo del duo di Puglia: «Mi pare un'idea pleonastica, il congresso lo stiamo chiedendo tutti noi: Bersani, D'Alema e Emiliano. Sta al segretario risponderci. Le firme servono a poco», dice il bersaniano Nico Stumpo. Se poi Renzi ribadisse che prima si fanno le elezioni, si prepari ad uno «tsunami nel Pd». «Non minaccio, ma non escludo nulla», dice Bersani a chi gli chiede se sia sulla linea scissionista di D'Alema.

La minoranza Pd ha una priorità più esistenziale che politica: se si va ad elezioni senza congresso, e quindi senza riconteggio delle correnti, le liste le fa Renzi e bersaniani, dalemiani, emiliani, lettiani eccetera si dovranno spartire un pugno di candidature e in molti rimarranno disoccupati.

Per ora il segretario, nonostante le caute avance di Roberto Speranza che è andato fino a Rimini per mostrarsi disponibile, non ha aperto alcuna trattativa con loro. Agitare fantasmi di nuovi partiti e raccolte di firme serve essenzialmente a costringerlo a trattare.

La replica renziana arriva da 19 segretari regionali del Pd (su 21): «Minacciare scissioni è irresponsabile».

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