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"Ecco perché l'Italia non deve sedersi sulla locomotiva Milano"

Il saggio del sindaco Sala: il modello virtuoso del capoluogo va replicato in tutto il Paese

"Ecco perché l'Italia  non deve sedersi sulla locomotiva Milano"

Pubblichiamo ampi stralci di un capitolo del libro "Milano e il secolo delle città" (ed. La nave di Teseo, 325 p., 19 euro), scritto dal sindaco di Milano Beppe Sala. La presentazione dell'opera si terrà domani alle ore 18 al Teatro Franco Parenti di Milano. Sarà presente l'ex direttore del Corriere della Sera Ferruccio de Bortoli.

IL RAPPORTO CON LA POLITICA «ROMANA»

In tutto il mondo si va verso la concentrazione di grandi megalopoli, le quali sono insieme laboratorio delle grandi tematiche di vivibilità del pianeta e anche in concorrenza per la supremazia nel mondo globalizzato. Esse non sono in contrapposizione con i sistemi nazionali ma ne rappresentano la punta avanzata e la sintesi. Milano è la città più dinamica del Paese, come ha dimostrato in tutta la sua storia e anche nel dopoguerra.

Ma proprio ora è il momento di interrogarsi sul tema fondamentale del rapporto tra Milano e l'Italia. L'esito del referendum sull'autonomia e la sconfitta di Ema sono infatti due elementi che rivelano da una parte come lo scenario istituzionale sia destinato a subire forti scossoni nei prossimi anni e, dall'altra, come l'assetto di Milano nel suo rapporto con Roma non basti ad assicurare quegli esiti che l'attuale forza della città dovrebbe garantirle. Ed è proprio qui la questione: Milano sta facendo la sua parte. Deve continuare a farla per sé mentre il resto dell'Italia si accontenta delle ricadute di indotto (che ci sono) o di immagine (che certamente esistono) o questo suo impegno può rientrare in un disegno politico del Paese?

Io credo che l'Italia debba tornare alla politica, a una sua politica che non chiameremmo più «politica industriale» ma che sia in grado di riportarla al posto che merita sullo scenario internazionale. Questo non può e non deve essere frutto di un caso, di un miracolo o di una singola locomotiva. Questo risultato ha come premessa una profonda e coraggiosa riforma istituzionale del Paese, attraverso la quale l'Italia trovi, o ritrovi, slancio e partecipazione in un sistema economico mondiale che tende a non privilegiare più solo gli elementi «hardware» dell'economia ma che si basa anche su conoscenza, connessioni e creatività. Tutte cose da italiani. Non c'è dubbio, Milano ha già la testa in tutto questo ma, o si ristruttura il corpo della nazione o le possibilità sono due: o Milano verrà risucchiata nei «confini» e nei limiti del Paese, o Milano si troverà costretta a fare sempre di più i conti con e per se stessa. Altrimenti, con la logica del tutto a tutti, ci sottoporremo a una tensione talmente insistita da mettere in serio pericolo l'unità del Paese.

MILANO-MONDO: UNA CORSA A SÉ O CON L'ITALIA?

Se Milano è la punta avanzata del Paese sulla scena internazionale, bisogna dare alla città e al suo territorio gli investimenti e gli strumenti che le diano la possibilità e la responsabilità di ottenere quei risultati che possono essere ribaltati positivamente sul Paese. Il mondo sta andando nella direzione di privilegiare ampie aggregazioni metropolitane, insieme laboratorio del futuro e strumenti di competitività sulla scena internazionale. Altre nazioni sono avvantaggiate dal fatto che una loro metropoli è già il centro vitale del Paese. Fa eccezione ancora una volta Milano, soprattutto se la si considera al centro di un territorio dalle enormi potenzialità economiche, culturali e sociali. Il governo che noi auspichiamo dovrebbe sostenere la crescita delle connessioni in questo territorio proprio nell'interesse del Paese. Un'Italia che si basasse su un «policentrismo virtuoso», dichiarato e consapevole, avrebbe la possibilità di giocarsi le sue carte nell'economia globale. L'alternativa, a nostro avviso, non c'è.

È in questa prospettiva infatti che Milano può funzionare sia da avamposto virtuoso del Paese, sia da elemento di positivo contagio degli altri territori. E questo per diversi motivi. Il primo, come ha dimostrato la non partecipazione dei milanesi (meno di un terzo degli aventi diritto) al referendum autonomista del Nord, è che la città ha un rapporto più robusto e indipendente con la politica romana per non essere indotta a aderire a velleitarie suggestioni secessioniste. Il secondo è che la sua strada è quella delle grandi metropoli del mondo che tendono, più che a dividere, a unificare intorno a sé aree metropolitane molto vaste, le quali prescindono dalla logica dei confini fisici e si riconoscono nelle connessioni hardware e software capaci di competere con le altre città del mondo. Il terzo è che Milano è una città sistemica che riconosce tra i suoi doveri quello di mettere a servizio del Paese il suo modello.

Il modello Milano è senza dubbio replicabile, ma ha bisogno di tempi, di metodi e di livelli di accoglienza definiti che non mettano in dubbio la necessità di continuare nella sua strada di sviluppo e di crescita. Merito e solidarietà sono un binomio sul quale l'Italia può giocarsi le sue carte in un mondo sempre più stretto tra le esagerate ricchezze di pochi e gli stenti di tanti. Questa capacità tutta ambrosiana potrebbe sostenere molti aspetti dell'Italia, valorizzarne le caratteristiche migliori, tracciare un'inedita alleanza tra generazioni e tra vecchi e nuovi cittadini.

E se tutto questo non accadesse? La nostra città non si fermerebbe, certamente. Milano continuerebbe a costruire se stessa, passo dopo passo, sulla strada segnata. Ma sarebbe la sua prospettiva a cambiare. Si rivolgerebbe direttamente all'Europa e alle sue risorse, rafforzerebbe la diplomazia estera, continuerebbe ad attrarre il mondo della finanza e delle imprese in forza della qualità dei suoi servizi e della sua vita. Milano continuerebbe a crescere, anche senza l'Italia. Ma con l'amarezza per la grande opportunità sprecata dal nostro Paese. L'ennesima.

Forse l'ultima.

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