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Ecco perché Salvini deve rompere con i 5S

Dall'autonomia tradita alle liti sul fisco i motivi che possono spingere Matteo all'addio

Ecco perché Salvini deve rompere con i 5S

«Tra una settimana sapremo tutto». Parola di Giancarlo Giorgetti, braccio destro di Salvini nella Lega e sottosegretario alla Presidenza del Consiglio. Basta una settimana per capire se questo governo può andare avanti. Gli ostacoli sono tanti, a iniziare appunto dalla tanto temuta procedura d'infrazione che potrebbe istruire la Commissione europea nei confronti dell'Italia. Esistono poi, però, quelle che Giorgetti chiama «giuste cause», cioè le divergenze tra alleati di governo sulla realizzazione di alcuni punti del programma di governo, sottoscritto e condiviso da entrambi. In questa pagina ricordiamo le principali «giuste cause» che i legali del Carroccio avanzerebbero per stracciare l'accordo siglato con l'alleato di governo. Dal rebus autonomia (con un Di Maio, autoproclamatosi paladino della nuova questione meridionale) alla Tav. Dalla procedura d'infrazione alla discussa e tormentata questione delle tasse (con Salvini che punta tutto sulla flat tax mentre il suo alleato di governo vedrebbe meglio e più equo il taglio del cuneo fiscale. Fino alla questione della Tap e delle acciaieri ex Ilva.

La «melina» parlamentare che irrita Zaia e Fontana

Si parte con l'autonomia. Chiodo fisso e punto fermo della politica leghista. Mercoledì 26 arriveranno sul tavolo del Consiglio dei ministri le bozze degli accordi con le prime tre Regioni (Veneto, Emilia Romagna e Lombardia) che hanno chiesto maggiore autonomia di spesa in settori strategici come sanità, scuola e trasporti. La road map è incardinata esulta il ministro degli Affari regionali Erika Stefani. «Fase storica - dice - per un nuovo regionalismo che passa attraverso responsabilità, competenza e democrazia diretta». Per mettersi di traverso, ormai, i grillini hanno soltanto un mezzo: chiedere che vengano coinvolte tutte le Commissioni parlamentari e sperare che i tempi si allunghino a dismisura. Mentre i leghisti hanno fretta e ribattono: basta un passaggio nelle Bicamerali. «Indietro non si torna» conferma Salvini che avverte gli alleati. «Stiano attenti a non esagerare», replica lo stesso ministro dell'Interno alla fredda accoglienza di Di Maio che in un lungo post su Facebook ha detto che la «riforma deve correre di pari passo con un grande piano per il Sud».

Il Carroccio insiste, ma i grillini puntano tutto sul cuneo fiscale

Altro punto fermo di Salvini è la flat tax. Tornato dagli States (dove ne è parlato anche con Gover Norquist, celebre analista americano) il ministro dell'Interno ha ribadito: «L'unico modo per far ripartire i consumi e l'economia in Italia è il drastico taglio delle tasse con la flat tax. Meno imposte significano più soldi nelle tasche degli italiani, più investimenti e più crescita, solo così il Paese riprende a correre». E che qui si possa arenare l'armonia della coalizione lo dimostra la freddezza con cui i pentastellati accolgono l'idea. Soprattutto dopo l'aut aut dello stesso leader leghista che, a chi gli faceva notare la necessità di una copertura di 10 miliardi per introdurre l'imposta «piatta», rispondeva: «O mi trovate questi dieci miliardi o me ne vado». «Cominciamo ad abbassare il cuneo fiscale per le imprese - replica Di Maio -, ad abbassare l'Irpef, a rimodulare le tariffe per quanto riguarda l'Inail, togliamo i costi fissi dalle bollette elettriche. L'importante è lasciare più soldi nelle tasche dei cittadini. Soprattutto in quelle di famiglie e pensionati».

Condono e rigore europeo: braccio di ferro tra gialli e verdi

Lascia col fiato sospeso la procedura d'infrazione minacciata da Bruxelles. «La ritengo - commenta Salvini - poco probabile e non voglio neppure prenderla in considerazione, dal momento che siamo uno tra i Paesi che maggiormente contribuisce all'Unione dal punto di vista economico. Dunque interpreterei l'attuazione della procedura come un chiaro tentativo di attacco politico, fondato su antipatie politiche e non su dati economici». La procedura d'infrazione rimescolerebbe, insomma, gli equilibri e minerebbe la tenuta dell'esecutivo che già nell'approvazione del Decreto crescita ha visto gli allearsi dividersi sul condono fiscale «La proroga del Saldo e stralcio - conferma il leader leghista -, provvedimento di civiltà sul quale abbiamo però dovuto discutere con il M5s, rinnovato fino alla fine del mese di luglio e per cui si prevede un incasso pari a 38 miliardi, fra rottamazione e saldo e stralcio, è un provvedimento da estendere dalle persone fisiche alle società ed alle imprese. Bisogna puntare a scovare i grandi evasori, non a rovinare la vita ai piccoli commercianti per pochi euro». Come invece piacerebbe ai grillini.

Ai duri e puri del Movimento non piacciono i porti chiusi

Il semaforo continua a essere rosso per la Sea Watch e i suoi 43 naufraghi bloccati in mare da dieci giorni al limite delle nostre acque territoriali. Per la Ong i porti italiani restano sprangati. Matteo Salvini, nonostante gli appelli provenienti da più parti, tiene duro sulla linea del rigore e scrive al presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, per sollecitare un'«energica iniziativa di sensibilizzazione», visto che l'imbarcazione batte bandiera olandese. I grillini sono ufficialmente al fianco della Lega sulla delicata questione dei migranti, ma una fronda ortodossa (che fa riferimento al presidente della Camera Roberto Fico) non vede di buon occhio la fermezza di Salvini nel trattare la questione. Il recente caso della Sea Watch e il rimpatrio via aerea dei migranti dalla Germania rappresentano un fattore di alto rischio nell'alleanza gialloverde. Già all'inizio dell'anno Roberto Fico aveva attaccato duramente la politica della Lega in materia e altrettanto aveva fatto un drappello di grillini ortodossi che aveva pensato addirittura all'ipotesi di una denuncia per violazione dei diritti umani alla Corte europea di giustizia.

Le acciaierie, l'ambiente e quell'immunità «ballerina»

«È fondamentale tutelare l'ambiente. Abbiamo presentato un documento per mettere al riparo 15mila posti di lavoro». Lo ha detto il vicepremier Matteo Salvini a margine del Festival del lavoro a Milano. Ma «se c'è un imprenditore che mette sul piatto centinaia di milioni per rimettere a norma un impianto non si può complicargli la vita, ma bisognerebbe agevolargliela». L'imprenditore in questione è la multinazionale Arcelor Mittal che ha rilevato le acciaierie ex Ilva di Taranto. La tanto contestata norma sull'immunità contenuta nel Decreto crescita continua a ballare. Da una parte i leghisti che insistono nel tenerla, dall'altra i grillini, spinti anche dai comitati territoriali, che vorrebbero cancellarla. Una fuga, quella di ArcelorMittal, che vanificherebbe una lunga e laboriosa trattativa che ha visto mettere sul piatto ben 3,5 miliardi tra investimento dell'acquirente e bonifiche della vecchia proprietà, con un'occupazione tornata ai livelli precrisi e con il placet dell'Antitrust. E tutto questo rientrando poi nei limiti Aia (autorizzazione integrata ambientale).

Trump preme per il gasdotto Il Piemonte invoca l'alta velocità

Ci pensa Alessandro Di Battista a rinfocolare il malumore della Lega su Tav e Tap. Il «battitore libero» attacca apertamente Salvini accusandolo di aver anteposto gli interessi dell'America di Trump (per il passaggio del gasdotto) a quella degli italiani (in questo caso dei pugliesi). «Ha tradito - dice - persino il suo slogan preferito: quel prima gli italiani che di certo in questo caso non sono considerati». D'altro canto la vittoria di Alberto Cirio alle regionali piemontesi riaccende ed esaspera il confronto tra gli alleati di governo. I grillini negano l'urgenza della Lione-Torino ma il nuovo governatore (espressione di una coalizione di centrodestra) punta i piedi e tira dritto: «Siamo talmente impegnati che martedì sarò a Parigi al cda di Telt. Il Piemonte ha un posto come uditore, purtroppo poco usato credo in passato, io invece ci voglio essere perché martedì a Parigi si insedia la nuova coordinatrice designata dalla Ue proprio per la vicenda della Tav.

Noi sull'alta velocità non facciamo sconti e la vogliamo senza se e senza ma».

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