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Ecuador, ucciso il candidato anti narcos

Villavicencio era favorito alla presidenza. La guerra a Correa contro la corruzione

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A nove giorni dalle presidenziali l'Ecuador è in lutto. Tre i giorni proclamati dal presidente uscente Guillermo Lasso (insieme a due mesi di stato di emergenza) dopo l'omicidio l'altro ieri di Fernando Villavicencio, 59enne deputato che aveva buone chance di succedergli. Attivista da sempre al fianco degli indigeni, tra i fondatori del movimento Pachakutik, Villavicencio era però soprattutto un grande giornalista investigativo. Ad ucciderlo mentre era scortato da agenti e si apprestava ad entrare nella sua auto, tre proiettili esplosi da un commando di sicari di «nazionalità straniera appartenenti alla criminalità organizzata» ha dichiarato ieri il ministro degli Interni del paese sudamericano, Juan Zapata, senza fornire altri dettagli. Sette killer sono stati catturati poco dopo l'omicidio grazie alle telecamere di sorveglianza e uno di loro (colombiano) è deceduto in ospedale, dopo essere stato ferito da uno dei poliziotti della scorta.

Gli scoop di Villavicencio sulla corruzione e le tangenti milionarie che avevano finanziato l'estinto partito Alianza País dell'ex presidente Rafael Correa, sono state fondamentali per l'apertura di un'inchiesta giudiziaria, conclusasi con la condanna passata in giudicato a 8 anni dello stesso Correa (oggi latitante in Belgio), del suo ex vicepresidente Jorge Glas e di altri funzionari del loro schieramento politico.

Nel suo libro del 2013 Ecuador: Hecho en China (Ecuador fatto in Cina) rivelava tutti i dettagli degli accordi petroliferi di vendita (swap) tra Ecuador, Cina e Venezuela e aveva denunciato come la partecipazione di molte multinazionali e paesi intermediari in quegli accordi commerciali avesse fatto perdere miliardi all'Ecuador, rendendolo dipendente da Pechino. Correa lo aveva denunciato dopo quel libro per «ingiuria» ed il 16 aprile del 2013 la Corte Suprema ecuadoriana lo aveva condannato a 18 mesi di carcere per «accuse senza documenti certi», imponendogli anche di pagare una multa milionaria e porgere le sue «pubbliche scuse» al presidente dell'epoca.

Un'umiliazione troppo grande e, allora, insieme ad un deputato di Pachakutik perseguitato anche lui da Correa, era stato costretto a nascondersi nella foresta amazzonica presso una comunità indigena. L'uscita di scena di Correa, condannato per corruzione e latitante in Europa, coincise con la fine della fuga di Villavicencio, che sino all'altro ieri era secondo nei sondaggi e dopo il primo turno poteva vincere il ballottaggio visto che la prima, la candidata di Correa, Luisa Gonzalez, ha molte meno possibilità di sostegno da parte degli elettori degli altri candidati in lizza.

Le priorità di Villavicencio era la lotta contro la corruzione dei politici, le cui campagne elettorali sono spesso finanziate dalle mafie transnazionali. Come presidente della Commissione di controllo anticorruzione del Parlamento lui li denunciava ogni giorno. A marzo aveva chiesto all'ufficio del pubblico ministero un'indagine penale anche contro un giudice che aveva messo in libertà l'albanese Dritan Rexhepi, condannato a 13 anni a Quito e che gestiva un'organizzazione criminale e su cui pendevano due richieste di estradizione, di Italia ed Albania. Nella sua ultima intervista televisiva, concessa due giorni prima di essere ucciso, aveva annunciato che avrebbe presentato una denuncia con annessi documenti che coinvolgevano Rafael Correa e Glas in uno schema di corruzione legata a Petroecuador, la statale petrolifera e alla relativa concessione di 21 terreni. Ovviamente era anche nel mirino del Cartello di Sinaoa, che gestisce ormai senza intermediari la produzione in Colombia e ha spostato le sue rotte di trasporto via terra verso l'Oceano Pacifico, trasformando l'Ecuador nel paese da cui parte più cocaina verso i mercati internazionali.

Il paradosso però è che la morte di Villavicencio rischia adessodi aprire la strada al ritorno al potere del «correismo».

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