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Egiziani a Roma per Regeni. Ancora presunte rivelazioni

Arrivati dal Cairo due magistrati e quattro poliziotti. Mail anonima su Repubblica smontata dalla Procura

Egiziani a Roma per Regeni. Ancora presunte rivelazioni

Questa mattina alle 10 italiani ed egiziani si incontrano a Roma sul caso Regeni. Un summit cruciale per capire se polizia e magistratura del Cairo vogliono veramente far luce sull'orribile fine del giovane friulano morto sotto tortura. In ballo il dossier egiziano di 2000 pagine con le indagini compiute su circa 200 persone di diversa nazionalità, che avevano rapporti con la vittima. Gli italiani, però, hanno chiesto da tempo i dati dei portatili agganciati alle celle telefoniche del giorno della scomparsa nel quartiere di Regeni e della zona dove è stato ritrovato il corpo. Gli investigatori italiani sono anche a caccia di video delle telecamere di sorveglianza della metropolitana e di negozi, che avrebbero potuto riprendere il ricercatore prima della scomparsa. Il premier Matteo Renzi ha ribadito: «Crediamo che l'Italia debba alla famiglia Regeni la verità, che sia un dovere raggiungere la verità vera. E crediamo che sia interesse pure del governo egiziano».

Ieri sera a Roma sono arrivati il generale Adel Gaffar e il brigadiere generale Alaa Abdel Megid, dei servizi centrali della polizia egiziana, oltre al vicedirettore della polizia criminale del governatorato di Giza, maggiore Mostafa Meabed. La procura del Cairo ha inviato due magistrati: Mostafa Soliman e Mohamed Hamdy El Sayed. Manca all'appello il generale Khaled Shalabi, capo della Polizia criminale di Giza, che all'inizio aveva cercato di sostenere l'assurda tesi dell'incidente stradale. Ufficiale già condannato per torture potrebbe essere coinvolto nella vicenda. Indiscrezioni non confermate dal Cairo lo indicano, come un possibile sospetto o capro espiatorio.

Da parte italiana all'incontro decisivo di oggi ci saranno i massimi dirigenti del Servizio centrale operativo (Sco) della polizia di Stato e del Raggruppamento operativo speciale (Ros) dell'Arma dei carabinieri. Oltre al procuratore capo di Roma Giuseppe Pignatone e il pm Sergio Colaiocco, che guida l'inchiesta.

Alla vigilia il quotidiano la Repubblica ha pubblicato il contenuto di una mail anonima, che svelerebbe chi «ha ucciso Giulio». Si fa il nome del generale Shalabi e si descrivono nei particolari i passaggi da una centro di detenzione all'altro di Regeni arrivando a coinvolgere il ministro dell'Interno e il generale Ahmad Jamal ad-Din, consigliere dello stesso presidente Al Sisi.

Gli inquirenti di Roma hanno immediatamente bocciato le rivelazioni: «Si tratta di un anonimo, uno dei tanti in casi, come questo, di forte risonanza mediatica. Non avrà nessuna rilevanza giudiziaria». E smontato la sua attendibilità spiegando che la mail contiene «una molteplicità di imprecisioni nella ricostruzione dei fatti soprattutto in riferimento agli esiti degli esami autoptici». Repubblica, al contrario, puntava proprio sui dettagli non conosciuti dell'autopsia contenuti nella mail per confermare il resto.

L'impressione è che sia un tentativo dei nemici di Al Sisi di imbeccare i media con nomi di responsabili delle forze di sicurezza egiziani vicini al presidente. Non a caso, sempre ieri, alla vigilia del summit investigativo italo-egiziano è saltato fuori un sedicente consigliere del presidente Mohammed Morsi, dei Fratelli musulmani, deposto da Al Sisi. «È un peccato che il vostro Paese continui ad avere rapporti ufficiali con un gruppo di assassini» esordisce Ahmed Abdelaziz su una pagina Facebook scritta in arabo. Nel plateale tentativo di cavalcare la tragica fine dell'italiano, il consigliere di Morsi sottolinea «la reazione a ciò che è accaduto a Giulio Regeni», che «riflette chiaramente il comportamento criminale della banda responsabile del colpo di stato militare che è implicata nella morte del vostro figlio». L'invito al governo italiano è di «infliggere sanzioni contro la banda che ha ucciso Giulio Regeni, anche se dovesse collaborare con voi e vi consegnasse gli assassini».

I Fratelli musulmani, fuorilegge in Egitto, cavalcano il caso e la verità a senso unico sposata dai giornaloni e Amnesty international del regime brutto, cattivo e torturatore responsabile della morte dell'italiano.

Sarà anche così, ma prima bisogna trovare un minimo di prove e fare luce pure su altre verità di questa vicenda, come il coinvolgimento dei referenti accademici della vittima a Cambridge con gli stessi Fratelli musulmani.

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