Cronache

Errori, sciatteria e morti Sanità malata, Paese infetto

Dai chirurghi in lite per la sala parto mentre il bebè muore all'aorta tagliata per sbaglio. Una deriva letale

Errori, sciatteria e morti Sanità malata, Paese infetto

Lo scambio delle barelle e, peggio ancora, quello degli organi. Numeri da circo e non solo: le attese interminabili e il degrado, con i malati buttati per terra come fossimo a Kabul e non a Roma o Milano. Le morti senza un perché e quelle con un perché che mette i brividi e suscita rabbia. La malasanità, dal Nord al Sud ma giù, in fondo allo stivale ancora di più, è ormai un genere a sé. Quasi una forma di narrativa con vicende surreali, incredibili e però dolorosissime e devastanti.

Come il caso, terribile, che arriva nei giorni scorsi da Palermo. Un uomo di 38 anni, Filippo Chiarello, viene ricoverato al Villa Sofia per togliere alcuni calcoli. Un intervento di routine, come si dice in un gergo tranquillizzante, da effettuare in laparascopia e dunque poco invasivo. Invece l'operazione si allunga per sei ore, diventa uno scempio, un disastro senza rimedio: tre arresti cardiaci, danni cerebrali gravissimi, il coma e infine la morte del giovane che lascia due figli piccoli. Ma che cosa è successo? È il chirurgo stesso ad ammettere l'errore: «Ho tagliato per sbaglio l'aorta addominale e ho perforato l'intestino».

A Bari va anche peggio: quel che succede è inimmaginabile. Due medici dell'ospedale Di Venere si contendono la sala operatoria, manco fossimo in un'adrenalinica puntata di Grey's Anatomy. Si perde un'ora mezzo mentre Marta Brandi aspetta il momento per poter partorire con taglio cesareo. Impuntature, negligenze, sciatteria: va tutto storto. Prima la sala operatoria occupata, perché ci sono altri due cesarei programmati. Non è finita. La quasi mamma viene dirottata in chirurgia generale dove però hanno prenotato i ferri per un'appendicite. Chi deve avere la precedenza? Inizia una discussione, i toni si accendono, nessuno vole cedere il passo. È in quei minuti drammatici che Marta perde la sua bambina. Il cordone ombelicale la strozza prima di nascere. Quando finalmente arriva il suo turno è troppo tardi. Otto persone, fra medici e infermieri, vengono messe sotto indagine. I due litiganti si difendono sostenendo che nessuno aveva loro spiegato l'urgenza di quel cesareo. Certo, il sistema non ha funzionato.

È un ritornello che si ripete tante volte. Troppe. Pagine vergognose che offendono la dignità di chi soffre. A Tivoli, al San Giovanni Evangelista, un paziente viene confuso per un altro. La barella che doveva partire per la rianimazione va in chirurgia e viceversa. Caos e confusione, ritardi. I due, tutti e due, muoiono. Intendiamoci: erano anziani e conciati molto male, forse il finale non sarebbe cambiato o forse sì, magari per uno solo. La procura indaga per omicidio colposo, aprendo l'ennesima inchiesta su quel che accade nelle nostre strutture sanitarie.

A Vigevano, è cronaca recente, portano via il rene sinistro a un signore di 78 anni. Una scelta sconsiderata perché la patologia diagnosticata era benigna. Quella maligna era dal'altra parte. Infatti passa il tempo, le condizioni di salute non migliorano neanche un po', alla fine i medici sono costretti asportare anche il secondo organo, gravemente compromesso. Il destro. In questo modo il poveraccio, per sopravvivere, deve attaccarsi tre volte la settimana alla macchina per la dialisi. Per carità, in medicina è meglio non dare nulla per scontato, ma almeno la differenza fra destra e sinistra dovrebbe essere conosciuta e così il reparto cui indirizzare il malato.

Ma c'è pure chi è stato dimesso ed è andato a mani alzate, disarmato, incontro alla morte. Cosi Antonio Francolino che muore a Tropea a gennaio scorso. Francolino arriva al pronto soccorso alle 18 di una domenica con forti dolori alla pancia. Attende tre ore, sempre in difficoltà, poi l'elettrocardiogramma rivela una sofferenza del cuore. Si tratta di aritmia, ma alle nove di sera l'anziano viene mandato a casa. Dove muore poco dopo.

Il figlio, disperato, scrive al ministro Lorenzin: un'altra lettera che aspetta risposta.

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