Politica

Con Facebook in 12 ore puoi arruolarti nell'Isis

Pubblichiamo un capitolo di Isis segreto, il libro inchiesta di Matteo Carnieletto e Andrea Indini che, a partire da domani, sarà allegato a ilGiornale al costo di 8,60 euro

Con Facebook in 12 ore puoi arruolarti nell'Isis

Com'è nato l'Isis? Quali sono le cause storiche e geopolitiche che hanno determinato l'ascesa dello Stato islamico? E ancora: quanto hanno influito le guerre occidentali nella destabilizzazione del Medio Oriente? L'Italia è davvero nel mirino del terrorismo islamico? Sono queste le principali domande alle quali il libro «Isis segreto» di Matteo Carnieletto e Andrea Indini, da domani allegato a «il Giornale» al costo di 8,60 euro, cerca di rispondere. Qui un estratto dell'opera.

Ci vogliono meno di dodici ore per riuscire a trovare i contatti per volare in Siria e combattere al fianco degli jihadisti. Lo strumento più comodo e rapido è Facebook: basta crearsi un profilo, scegliere un'immagine che richiami la rivoluzione anti-Assad, iniziare ad aggiungere agli amici qualche persona che sia stata in Siria come cooperante (ad esempio Greta Ramelli) e il gioco è fatto.

In pochissimo tempo si è invasi da una marea di richieste di amicizia. Sono per lo più uomini che, forse ingannati dalla mia foto profilo (un'immagine delle cooperanti italiane Greta Ramelli e Vanessa Marzullo), cercano relazioni sul web. Spesso mi viene chiesto se sono disposto a fare «cam», una maniera nemmeno troppo fine per chiedermi di spogliarmi. Inizio a chattare. Tutti chiedono se sono musulmano. Sembra essere una caratteristica necessaria per continuare la conversazione.

Le richieste di amicizia continuano a fioccare. Bandiere nere jihadiste, donne in niqab che impugnano il mitra. Mi contatta un ragazzo siriano. Odia Assad, lo chiama «scimmia» e allora lo incalzo: gli dico che vorrei raggiungere la Siria, se non per combattere, almeno per aiutare la popolazione. Mi dice di no. Quando gli chiedo il perché usa una sola parola: «war». C'è la guerra. Mi ripete: «Non venire in Siria». Lo rassicuro e lui, in cambio, mi ringrazia. Apprezza la mia sensibilità.

Guardo le immagini di profilo delle persone che mi hanno aggiunto. Molto spesso sono riprese dai siti di propaganda jihadista e raffigurano uomini vestiti totalmente in nero, armati di pistole o di kalashnikov. Vengono scelte anche le foto dei capi dello Stato islamico: al-Baghdadi, innanzitutto, ma anche il suo portavoce e braccio destro, Sheykh Adnani, ripreso con il mitra in mano.

Mentre chatto, e sono passate circa cinque ore, penso che raggiungere la Siria non è poi così semplice. Contatto «il servo ribelle Al-Mujahed», un altro siriano. Dopo i primi convenevoli provo a inquadrarlo. Non che ci voglia molto: le sue immagini di profilo e di copertina lo ritraggono con un kalashnikov. Mi spiega chiaramente che è uno jihadista, che combatte per la sua nazione, la Siria, e che così dovrebbero fare tutti i buoni musulmani. Rilancio: gli dico che anche io sono un musulmano. Un musulmano italiano che vorrebbe raggiungere quanto prima la Siria per combattere il jihad.

Ed è ora che il «servo ribelle» mi sorprende. Mi dice «ti aiuto». Mi consiglia di abbandonare quanto prima l'Italia e di prendere un aereo per Istanbul per poi di spostarmi verso il confine tra Turchia e Siria. Mi dice: «Arriva a Hatay, vicino alla frontiera siriana. Lì ti verremo a prendere per poi portarti in Siria». E qualcosa di vero, penso, deve esserci se l'aeroporto di Hatay, nel 2012, quindi nell'anno in cui è iniziata la guerra civile siriana, ha registrato un +11,6% di passeggeri stranieri. Una sfortunata coincidenza o è davvero questo lo scalo dei foreign fighters che vogliono raggiungere la Siria?

«E le armi?», chiedo al «servo ribelle». Lui mi rassicura: «Abbiamo tutto». Mi saluta. Gli dico che lo aggiornerò sul mio viaggio. «Insciallah», mi risponde. Se Dio vuole.

Il «servo ribelle Al-Mujahed» è stato il nostro contatto più loquace, almeno fino a quando il suo profilo non è stato bloccato da Facebook. Abbiamo chattato con altre persone, per lo più uomini, che ci hanno detto che per raggiungere la Siria bisogna per forza passare dalla Turchia. Da Hatay o da Gaziantep, come ci spiega una ragazza, Al Khansa (che probabilmente ha scelto questo nickname in onore del battaglione femminile dell'Isis che a sua volta lo ha ripreso da una poetessa araba del VII secolo). Con Al Khansa, poi Siti Fatimah, in seguito al blocco del suo profilo di Facebook, ho discusso a lungo. Più che altro per capire perché una donna, anzi, una ragazza, voglia raggiungere lo Stato islamico.

A tal proposito Fatimah è stata parecchio chiara: «Lì c'è l'islam vero». Questa ragazza, che viene dall'Indonesia, desidera raggiungere l'Isis ma non ha i soldi per farlo. Le dico che non si deve preoccupare, che posso aiutarla io perché la carità è uno dei pilastri dell'islam.

A questa notizia Fatimah scoppia di gioia: «Vorrei piangere. Allah mi ha aiutato attraverso di te. Preparo la mia valigia subito. Se Dio vuole sono pronta già ora. Non appena avrò il biglietto per la Turchia partirò». Insciallah.

Per oltre due mesi sono rimasto in contatto con persone legate, chi in un modo o chi in un altro, allo Stato islamico e alla galassia jihadista, ma non sono stato contattato né dalla polizia postale né dall'antiterrorismo. Eppure l'Italia è nel mirino. Expo e Giubileo ci rendono un obiettivo sensibile. Ma nulla. È possibile raggiungere lo Stato islamico organizzandosi solamente con Facebook.

E bastano meno di dodici ore.

Commenti