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Facebook, azionisti in rivolta. Prima causa dopo il maxi calo

Per l'investitore Zuckerberg non avrebbe avvertito delle perdite. Sospeso il profilo del complottista di «Infowars»

Facebook, azionisti in rivolta. Prima causa dopo il maxi calo

La prima causa legale è stata depositata presso il tribunale distrettuale di Manhattan. Ma potrebbe aprire la strada a una lunga serie di ricorsi. A presentarla è stato James Kacouris, azionista di Facebook a cui non sono andati giù i 120 miliardi di dollari evaporati in poche ore a Wall Street sull'onda dei risultati deludenti riportati dall'azienda californiana. Kacouris ha detto che il mercato era «sconvolto» quando «la verità» sui conti è cominciata a emergere: -7% di fatturato rispetto al trimestre precedente (ma comunque +42% anno su anno) e utenti giornalieri europei in calo (279 milioni contro i 282 del trimestre passato), complici lo scandalo Cambridge Analytica e l'entrata in vigore del Gdpr, il nuovo regolamento Ue sulla privacy. Numeri a cui si sono aggiunte le parole del direttore finanziario di Facebook, David Wehner, che ha spiegato che il rallentamento proseguirà anche nei prossimi due trimestri. Una combinazione letale che ha fatto subito crollare del 19% le azioni di Facebook, la perdita più grande in un solo giorno per un'azienda nella storia degli Stati Uniti.

Secondo il ricorrente, però, dietro il tonfo ci sarebbe una violazione delle leggi federali sui titoli da parte dei vertici del colosso. Kacouris ha accusato il social network e il suo fondatore e ad, Mark Zuckerberg, di aver diffuso dichiarazioni fuorvianti, o comunque non esaurienti, sulla frenata dei ricavi, sul calo dei margini operativi e sulla fuga degli utenti. Il ricorso punta allo status di class-action per danni non specificati. Negli Usa non è inusuale che gli azionisti presentino ricorso contro le società nel caso di perdite ingenti in Borsa. La stessa Facebook è già alle prese con decine di cause legali per il caso Cambridge Analytica, che ha violato i profili di 87 milioni di utenti in Europa.

Le turbolenze, per Zuckerberg, sembrano quindi arrivare soprattutto dal Vecchio Continente. Particolarmente agguerriti sono i britannici, che hanno rinnovato l'invito al numero uno di Facebook a comparire davanti al Parlamento londinese per parlare di trattamento dei dati e disinformazione. Ma, soprattutto, ieri una commissione della Camera dei Comuni ha proposto di tassare i social network per finanziare la lotta contro le fake news, una «crisi» che «minaccia il tessuto della democrazia». Si tratterebbe di una sorta di contrappasso: finanziare programmi di alfabetizzazione digitale a scuola e investire sul controllo dei dati attraverso un'imposta che andrebbe a colpire proprio i responsabili di questi problemi, le piattaforme social. Società che - si legge nel rapporto della commissione - agiscono «in modo irresponsabile» sulla raccolta dei dati e «influenzano quello che vediamo», grazie a una mancata regolazione del comparto. La proposta, infatti, prevede anche la creazione di una «nuova categoria di impresa» in cui far confluire queste aziende: in questo modo le loro responsabilità sarebbero chiare e non potrebbero più sostenere di essere solo piattaforme che ospitano contenuti prodotti dagli utenti.

Negli Usa, in compenso, ieri Facebook ha deciso di bloccare per 30 giorni l'account personale di uno dei complottisti più famosi della destra americana: Alex Jones, fondatore del sito di bufale e teorie cospirative Infowars. Per intenderci, una pagina web secondo cui l'attacco terroristico dell'11 settembre è stato una messinscena architettata da Washington e il massacro nella scuola elementare Sandy Hook, che fece 28 vittime, è un falso. Jones è stato sospeso dal social network per un mese e quattro video presenti sia sulla sua pagina sia su quella di Infowars (non è stato specificato quali) sono stati rimossi.

Probabilmente si trattava di materiale che aveva a che fare con il bullismo e l'incitamento all'odio, dato che un portavoce di Facebook ha detto alla Cnn che gli standard comunitari della società vietano «i contenuti che incoraggiano danni fisici o che attaccano qualcuno in base alla sua affiliazione religiosa o identità di genere».

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