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La falla delle intercettazioni: quanti inquisiti messi allerta

Da Consip al caso Roma, il copione si ripete nelle ultime inchieste. E il Copasir chiederà chiarimenti

La falla delle intercettazioni: quanti inquisiti messi allerta

C'è chi, come l'amministratore delegato di Consip, ha voluto strafare: ha ammesso che almeno quattro persone lo hanno avvertito che stavano intercettando le sue conversazioni. Ma non è certo un caso isolato. Anzi: la storia delle inchieste più note degli ultimi anni prova che avere il telefono sotto ascolto è il re dei segreti di pulcinella.

In una intercettazione riportata nelle carte dell'inchiesta Consip, il re degli appalti Alfredo Romeo riferisce al fido Italo Bocchino, di incontri con esponenti graduati dei Servizi che lo avevano avvisato di essere spiato, riferendogli anche che lui era incluso in un elenco di persone «tutelate». Un'affermazione che avrebbe tutta l'aria di una sparata, se non fosse che le fughe di notizie nell'inchiesta che sta terremotando il mondo renziano, sono diventate la regola. Tanto da far imbufalire i pm Paolo Ielo e Mario Palazzi, spingendoli a togliere la delega alle indagini al Noe dei carabinieri. E se non fosse che alla voce «sapeva di essere intercettato» si possa annoverare un lungo elenco di indagati.

Nell'inchiesta Consip segnali d'allarme sarebbero arrivati tra gli altri a babbo Renzi e a Marroni. L'ad di Consip reagì facendo bonificare i propri uffici ed evitando di incontrare il «mediatore» Carlo Russo, mandando a vuoto un possibile passo decisivo dell'inchiesta. «Vedremo le carte - dice al Giornale Giacomo Stucchi, presidente del Comitato di controllo sui servizi segreti - ma è una circostanza su cui dovremo chiedere chi».

Ma non c'è solo la vicenda Consip. Nel caso delle nomine della giunta grillina di Roma, Virginia Raggi sarebbe stata messa sull'avviso, cosa che spiegherebbe le riunioni sul tetto del Campidoglio con Romeo e Marra. E, ancora a Roma, perfino il boss Massimo Carminati, nell'ultima fase delle indagini su Mafia capitale, sarebbe stato messo in allarme tanto da cambiare improvvisamente abitudini. E anche in quel caso spuntò l'ombra, mai provata, dei Servizi.

C'è poi una casistica specifica di accuse rivolte a magistrati. Il sospetto di aver rivelato all'indagato di essere intercettato ha sfiorato nel recente passato le procure di Benevento e Palermo (accuse rimaste senza seguito). Ed è invece ancora aperta la vicenda dell'ex procuratore facente funzioni di Aosta Pasquale Longarini, indagato per aver «dato a una mano» a un suo amico proprietario di un caseificio. In quel caso, secondo l'accusa, fu direttamente il procuratore a rivelare all'indagato che doveva stare attento a ciò che diceva al telefono. Nell'elenco figura anche l'ex pm campione della lotta alle Ecomafie, Donato Ceglie, anche lui accusato di aver avvisato imprenditori amici di essere nel mirino delle intercettazioni.

Nel caso della cosiddetta «P4» invece, sarebbe stato l'ex parlamentare e magistrato Alfonso Papa a mettere su una sorta di struttura di sorveglianza in grado di apprendere notizie riservate sulle indagini e rivelarle agli interessati, anche dietro pagamento di denaro. C'è poi il caso dei fratelli Occhionero, gli spioni telematici accusati di raccogliere dossier sui potenti d'Italia. Nel loro caso, ipotizzano gli inquirenti, qualcuno li ha avvisati che era stata attivata un'intercettazione sul loro computer.

Il dubbio è che la proliferazione delle intercettazioni, sempre più bacchetta magica dei pm (sono circa 140.

000 le autorizzazioni all'ascolto attualmente attive), abbia finito per rendere il meccanismo meno sicuro.

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