Politica

Il falso ministro Le Drian e la truffa da 80 milioni

Ladri di identità imitavano l'ex titolare della Difesa. Tra le vittime anche Aga Khan

Il falso ministro Le Drian e la truffa da 80 milioni

Francesco De Remigis

Sette rinvii a giudizio per la truffa da 80 milioni di euro del «falso» ministro francese Le Drian: una maschera in silicone, chiamate via Skype e finti emissari dell'allora titolare della Difesa (oggi agli Esteri) sono stati sufficienti a chiedere soldi per «combattere i terroristi in operazioni segrete» e «liberare giornalisti rapiti» o «militari in ostaggio». Un inganno finito in tribunale grazie all'identificazione della voce del ladro-imitatore, accusato di «truffa», «associazione a delinquere» e «furto d'identità».

Potrebbe essere la trama di un thriller politico, invece è il racconto di quel che è successo in Francia tra la primavera 2015 e l'estate 2016, quando il «falso ministro Le Drian» interpellò in segreto oltre 150 personalità in 40 Paesi: diplomatici, capi delegazione, figure religiose, capi di stato africani, capi di organizzazioni internazionali, banchieri e mercanti d'arte. Tutti coinvolti loro malgrado nell'architettura truffaldina di una banda che, con una maschera e della carta intestata, e pochi minuti di voce impostata sul tono ministeriale, è riuscita a scucire circa 80 milioni di euro in giro per il mondo.

Una procedura ben studiata: alcuni uomini si dichiarano emissari del ministro - il consigliere speciale, il capo di stato maggiore, il segretario personale - contattando personalità facoltose, in Francia o all'estero. Il messaggio è ultra-confidenziale: «Jean-Yves Le Drian vuole parlarle con urgenza». Al telefono, la voce del falso ministro è seria e una videochiamata rende tutto più plausibile. Solo che il viso è di plastica. Illuso l'interlocutore per qualche decina di secondi, il video viene volutamente sfocato. E la macchina avviata: bonifici su conti cifrati, valigette, ecc. D'altronde cosa non si farebbe per aiutare la Francia a sconfiggere il terrorismo? O per riavere connazionali rapiti e magari ottenere un'onorificenza in cambio?

Vittime illustri. Come il ricco principe Aga Khan, leader spirituale dei musulmani Ismailiti, ramo dell'islam sciita, che avrebbe donato quasi 20 milioni di euro per «salvare» presunti ostaggi dall'Isis. O il patron dell'azienda di champagne Château Margaux, che ha perso quasi 3 milioni. L'ultimo truffato è stato Inan Kirac, uomo d'affari turco, che ha ceduto 41 milioni. Invece alcuni capi di Stato africani, come Ali Bongo, presidente del Gabon, hanno sentito subito puzza di bruciato. Imprenditori come il produttore di vini Michel Chapoutier hanno abboccato per poi constatare l'assurdità della cosa; col «falso Le Drian» che prometteva immunità da controlli fiscali a vita.

La banda aveva sfruttato perfino lo choc per gli attentati del 13 novembre 2015. «Non hanno esitato a servirsi dei tragici eventi di Parigi per raccogliere più soldi», osservano i giudici, citati da Le Parisien. La mente criminale è del 54enne franco-israeliano Gilbert Chikli, riconosciuta anche dal cinema: la sua precedente «truffa del presidente» da 7,5 milioni, del 2005, è celebrata dal film «Conto su di lei» di Pascal Elbé.

Già condannato in contumacia a 7 anni di prigione e una multa di 1 milione di euro nel 2015 per aver frodato compagnie come Hsbc o Alstom, Disneyland Paris o Les Galeries Lafayette, è stato fermato il 18 agosto 2017 in Ucraina: a suo dire era in pellegrinaggio. Ma la polizia è convinta che stesse preparando altre truffe, usurpando l'identità e il volto del principe Alberto II di Monaco. Sempre con maschera in silicone. Estradato a novembre 2017 con Anthony Lasarevitsch, presunto complice, si dice «estraneo» alle accuse.

Ma a processo è finito grazie alla prova della voce a cui non è riuscito a dare altro volto che non fosse il suo.

Commenti