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Il far west dell'islam in Italia

Ecco il far west dell'islam in Italia

Il far west dell'islam in Italia

L’islam in Italia? Un “far west”. Parola di Souad Sbai ex deputata Pdl, presidente di Acmid (Associazione della comunità marocchina delle donne in Italia) secondo cui il nostro Paese sarebbe pieno di imam “fai da te” che non conoscono l’arabo e lanciano fatwe assurde senza il controllo e l’intervento di qualche autorità religiosa.

Un vero e proprio “terrorismo culturale” che, secondo la Sbai, da metà anni ’90 anche in Occidente e in Italia “il proselitismo salafita si è trasformato in jihadismo e violenza”. Un tipo di Islam che si trova ormai ovunque: "Nelle testate giornalistiche, nelle case editoriali, in Parlamento sia a destra che a sinistra. In Italia – spiega la Sbai - coinvolge anche figure importanti che si sono convertite anche in maniera radicale. Vanno in televisione, parlano, deformano, spostano, mediano. Un vero e proprio cancro”. Persone che la Sbai ha conosciuto anche nel corso della sua unica esperienza alla Camera: “Quello che vediamo oggi è il nulla rispetto a quello che c’è sotto traccia. Al terrorista lo prendi e gli dai l’ergastolo, ma a questi politici e intellettuali convertiti di nascosto chi li controlla? Parlo di personaggi insospettabili, che vanno a pregare di nascosto in moschea perché sono furbi, non vanno il venerdì come tutti gli altri”.

Si tratta di un mondo “che si regge su fiumi di denaro proveniente dal movimento salafita”, indirizzato non solo verso le moschee o i centri culturale “ma a specifici personaggi che si sono convertiti all’Islam e distillano veleno”. Una struttura ben organizzata che ha origini da lontano: “Il progetto iniziale – spiega Sbai – cominciò nel 1923 con il movimento dei Fratelli musulmani che provò a islamizzare il Nord Africa che non era più musulmano. Fallito questo tentativo, il wahabismo si è trasformato nel salafismo che negli anni Settanta si è inserito nel tessuto sociale con il proselitismo che si è fatto largo anche nel mondo occidentale. La terza tappa è stata la trasformazione del salafismo a metà anni Novanta nel jihadismo e nella violenza”. Per l’ex deputata del Pdl di origine marocchina il terrorismo è nato si è dato troppo spazio ai fondamentalisti: “Piano piano dagli anni Novanta, hanno cominciato dalla scuola coranica, poi hanno attaccato le donne che andavano vestite in un certo modo, si è passati quindi all’infibulazione che non c’entra nulla con l’Islam e via dicendo”. “Una volta – racconta la Sbai - si faceva la battaglia contro il niqab, il foulard indossato dalle donne e oggi siamo arrivati a farla al burqa. Questo spiega perfettamente quanto si è aggravata la situazione. E a livello culturale avviene la stessa cosa, goccia dopo goccia. E questo radicalismo viene finanziato per rallentare qualsiasi processo di modernizzazione”. In Italia, secondo la Sbai, “tutto questo è aggravato dal fatto che manca un’autorità religiosa centrale che controlli e razionalizzi. Qui nessuno comanda. In Marocco gli imam svolgono la loro funzione gratuitamente, nel nostro Paese è diventata un’attività lavorativa”. Una situazione preoccupante che genera personaggi “pericolosi” e contro i quali a poco serve una una procura antiterrorismo islamico: “Le procure già esistono –commenta Sbai -. Magari vanno rafforzate con esperti che conoscano la lingua araba, perché non è accettabile che ci siano ancora siti internet jihadisti in Italia. Così come vanno fermate le televisioni che soprattutto nel Nord fanno proselitismo dalla mattina alla sera con personaggi molto pericolosi”.

Per la Sbai, “quello che manca è una legge contro il terrorismo: se qualcuno va a combattere per il jihadismo fuori dall’Italia, non è perseguibile nel nostro Paese”.

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