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Il Fatto spranga ancora Ramelli

Verrebbe da dire che ci sono parole che fanno più male delle sprangate, se poi non venissero subito agli occhi quelle immagini di Sergio Ramelli con i tubi infilati nel naso e quella testa appoggiata sul cuscino di un reparto di rianimazione

Il Fatto spranga ancora Ramelli

Verrebbe da dire che ci sono parole che fanno più male delle sprangate, se poi non venissero subito agli occhi quelle immagini di Sergio Ramelli con i suoi bei capelli rasati dai chirurghi, i tubi infilati nel naso e quella testa d'angelo moro appoggiata sul cuscino di un reparto di rianimazione dove stava percorrendo il calvario che lo portava al martirio. In nessun altro modo si può descrivere la tragedia di un diciannovenne a cui l'odio della violenza rossa, così diffusa, tollerata e troppo spesso incoraggiata negli anni Settanta e Ottanta, ha sfondato il cranio con i colpi della chiave inglese di Avanguardia operaia. E sembra assurdo dover ancora oggi difendere la sua memoria e quella del mite avvocato missino Enrico Pedenovi giustiziato da Prima linea sul portone di casa. E, invece, tocca farlo dopo aver letto il vergognoso articolo pubblicato dal Fatto Quotidiano per rimestare un osceno minestrone in cui orrendi carnefici e vittime innocenti finiscono in un unico pentolone. A meno che, come in molti sostenevano in quei giorni e a quanto pare qualcuno pensa anche oggi, non essere di sinistra sia un reato punibile con la giustizia sommaria e la pena di morte. Perché nello stesso articolo si dice che i sei italiani di cui l'Italia ha ottenuto l'estradizione, sono condannati per reati di terrorismo. E Giorgio Pietrostefani ha sulla coscienza e nella fedina penale l'omicidio del commissario Calabresi. Nulla di simile ha macchiato la troppo breve esistenza di Ramelli e quella irreprensibile di Pedenovi. Così come quella dei tanti che hanno macchiato col sangue il selciato. E così non si capisce perché il quotidiano di Travaglio si rivolti all'impegno preso da Regione Lombardia, con un voto del consiglio, per impiegare i 50mila euro nel racconto alle scuole di quelle terribili storie oggi fortunatamente (e finalmente) da tutti condannate. Con buona pace del Fatto che si vorrebbe opporre dicendo che «eroi si diventa per quello che si è compiuto da vivi, non per il fatto di essere morti». Non solo. «Non può essere considerato eroe chi in vita professava un'ideologia fascista che giustifica l'uccisione della libertà e dei diritti di ciascuno». Ma di che parlano. Ma come si permettono. Il fascismo? Ramelli aveva 19 anni nel 1975, era iscritto al Fronte della Gioventù e la sua sola colpa era aver scritto un tema contro le Brigate rosse. «Ha diritto, questo sì, alla giustizia che lui stesso non avrebbe concesso agli avversari, ma eroe, per favore, no». Ma che dite? Eroe sì.

Via brutti sciacalli dal suo cadavere che ancora oggi è molto più vivo di quelle ideologie morte di cui al Fatto siete ancora schiavi.

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