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Quel filo rosso tra Etruria e il Paese dei conti off-shore

La banca di Arezzo ha coperto i movimenti di oro tra le aziende orafe e Panama. E tra i mediatori per sbloccare le operazioni figura pure un ex deputato Pds-Ds

Quel filo rosso tra Etruria e il Paese dei conti off-shore

Gli aretini che contano, quelli dell'oro, della grande industria, della massoneria, delle banche, con Panama hanno sempre avuto a che fare. E adesso nomi eccellenti di colossi del settore orafo potrebbero spuntare anche dai famigerati Panama Papers.

Già anni fa Arezzo, da capitale dell'oro, rischia di diventare quella del riciclaggio di denaro sporco. Commercianti e proprietari di aziende orafe trafficano col cartello della droga in Colombia e i dirigenti di Banca Etruria non avrebbero segnalato movimenti di soldi sospetti. L'operazione Unigold scoperchia un mondo sommerso: le vie del riciclaggio sono infinite, i narcodollari vengono lavati acquistando oro lavorato tra Arezzo e Vicenza. Triangolazioni tra banche, centinaia di miliardi spostati negli istituti di mezzo mondo con semplici bonifici. Questo è ciò che verrebbe fuori oggi dai Panama Papers.

L'istituto di Arezzo è una piccola Fort Knox: tra lingotti dei clienti per circa 3,5 tonnellate (oltre 10mila pezzi), lingotti della stessa banca che ha una giacenza giornaliera di due tonnellate e quattro tonnellate per il distretto industriale orafo di Arezzo (1.300 aziende), il totale è 9 tonnellate e mezzo. Un tesoro da 310 milioni di euro, la più grande concentrazione d'oro in Italia dopo quella di Bankitalia.

Dal Centroamerica arrivano a due banche di Arezzo 300 miliardi di dollari (circa 230 miliardi di euro) per l'acquisto di due tonnellate di oro. La Dea americana scopre un accredito sospetto di 50mila dollari inviati da una banca di Atlanta a una di Arezzo, denaro che sarebbe servito per l'acquisto di oro. Unigold rinvia a giudizio tredici imprenditori del settore orafo di Arezzo tra cui i fratelli Francesco e Luciano Pataro titolari della Aurea trading di Arezzo e della Universe Gold Enteprise di Panama, le principali società off-shore al centro dell'inchiesta servite per lavare i soldi nell'oro. Nei guai finiscono sei funzionari di tre banche sospettati di aver accettato addebiti e trasferimenti miliardari sospetti: Monte dei Paschi di Siena, Banca Etruria e Banca Popolare Vicentina.

Tra i mediatori aretini per sbloccare l'oro di Panama figura Vasco Giannotti (indagato a Modena con la compagna Giorgia Artiano per riciclaggio e turbativa d'asta), imprenditore nel campo sanitario, ex deputato Pds-Ds, esponente di spicco del Pci. Lui è il motore del colosso aretino specializzato nel risk management, Gutenberg (società finita nella carte dell'inchiesta Cpl Concordia per fatture sospette), che organizza ogni anno il Forum Risk Management in Sanità al quale partecipano l'ex sindaco oggi al Csm, Giuseppe Fanfani, e il procuratore che segue l'inchiesta Etruria, Roberto Rossi. Main sponsor delle prime 9 manifestazioni Banca Etruria insieme a Manutencoop che ha interessi con la banca. Prima di dedicarsi alla sanità Giannotti aveva messo in piedi per Cna e Banca Etruria un consorzio nel quale convogliarono diverse imprese orafe clienti della banca.

Con la Dea americana ha avuto problemi (poi risolti) pure Ivana Ciabatti, amministratore e principale azionista di Italpreziosi, da gennaio 2015 presidente di Federorafi, membro della consulta degli orafi insieme a Andrea Boldi di Confartigianato che nel maggio scorso spese parole di elogio per Maria Elena Boschi «per il prezioso lavoro sul blocco delle esportazioni di oreficeria in Algeria che ha causato per la città un mancato export di 165 milioni». Al vertice italo-algerino c'era anche il ministro per lo Sviluppo economico, Federica Guidi. Matteo Renzi promise (anche lì) «maggiore valorizzazione e la rimozione dei vincoli che impediscono lo sviluppo dei distretti dell'oro di Arezzo e Vicenza».

Alla fine il cerchio si chiude sempre.

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