Economia

Le svendite di Renzi fanno perdere in Borsa

Le privatizzazioni non rendono quanto previsto. Dopo quattro giorni Poste già svalutata del 5%. Timori per le future cessazioni di Enav e Ferrovie

Le svendite di Renzi fanno perdere in Borsa

C hi investe su Renzi in Borsa ci rimette. Lo dimostrano i numeri. Prendiamo l'andamento del titolo delle Poste, sbarcate a Piazza Affari martedì 27 ottobre. E riferiamoci al risparmiatore che è riuscito a ricevere un lotto minimo di 500 azioni spendendo 3.375 euro. Martedì, al suono della campanella che segna l'avvio delle contrattazioni, un'azione della debuttante Poste valeva 6,75 euro. Ieri, dopo che il titolo ha perso il 4,33%, il valore è sceso a 6,41 euro. Ciò significa che in tre sedute, la perdita è stata di oltre 5 punti percentuali. Tradotto: dalle tasche dell'investitore sono spariti 170 euro. Non è una questione di gufi, «il prezzo lo fa il mercato», come ha ripetuto più volte lo stesso amministratore delegato delle Poste, Francesco Caio. Lo stesso Matteo Renzi, lo scorso 12 ottobre, aveva scritto su Facebook: «Quella che dieci anni fa era l'azienda conservatrice più corporativa e succube della politica, risponderà agli azionisti ed al mercato. Anche questo è cambiare verso».

Il problema è che in Borsa le Poste hanno preso quello sbagliato. E nella stessa direzione sta andando ormai da settimane anche il titolo Fincantieri. Il colosso della cantieristica navale è sbarcato sul listino milanese il 3 luglio dell'anno scorso. Ma per i piccoli risparmiatori che avevano aderito al collocamento, non è stata una festa: dopo aver debuttato a 0,78 euro, oggi le azioni valgono 0,49 euro. Ovvero il 37% in meno rispetto alla quotazione. Se ipotizziamo l'acquisto iniziale di un pacchetto ridotto di 500 titoli, si tratta di 145 euro persi.

Le premesse, del resto, non erano state delle migliori. Inizialmente, infatti, l'operazione avrebbe dovuto piazzare 704 milioni di azioni con una quota consistente destinata agli investitori istituzionali. Sondato il mercato, le banche collocatrici avevano deciso di ridurre l'ammontare di titoli a 450 milioni. Di questi, appena 50 milioni (pari a nemmeno 40 milioni di euro) erano finiti nei portafogli dei grandi investitori. La maggior parte era stata dunque venduta ai piccoli risparmiatori, pronti a scommettere su un'azienda pubblica con l'idea di essere al riparo dai rischi.

Alla delusione ora rischia di aggiungersi la beffa: Fincantieri potrebbe tornare presto a chiedere soldi ai risparmiatori e allo Stato. Nei giorni scorsi, infatti, il gruppo ha dovuto smentire le indiscrezioni di stampa su un possibile aumento di capitale da 500 milioni di euro indicando che non è stata presa nessuna decisione e che nessun consulente sta studiando l'operazione. Chi ci ha già rimesso dei quattrini, e non vuole essere costretto a metterne altri sul piatto per non diluire l'investimento, tiene le dita incrociate.

Probabilmente i risparmiatori che hanno puntato su Poste o Fincantieri non parteciperanno al prossimo valzer di privatizzazioni annunciate dal ministero del Tesoro, deciso ad andare avanti con Enav e Ferrovie dello Stato. Per la società di gestione e controllo del traffico aereo, interamente controllata dal Tesoro il percorso è già definito e i tempi sono più stretti. La quotazione di Enav riguarda fino al 49% della società (attraverso un'offerta pubblica di vendita rivolta al pubblico dei risparmiatori in Italia, inclusi i dipendenti, e investitori istituzionali italiani e internazionali) ed è attesa nella prima metà del 2016, con un incasso per lo Stato che dovrebbe oscillare tra 700 milioni e 1 miliardo di euro.

Più lunghi invece i tempi per Ferrovie dello Stato, per la quale manca ancora un accordo sul perimetro della società da quotare.

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