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La finta apertura di Di Maio: "No ad accordi tra due partiti"

Il leader M5s: dialogo con tutti sulle presidenze. Poi pianta subito paletti. Falso curriculum, Casalino incolpa gli hacker

La finta apertura di Di Maio: "No ad accordi tra due partiti"

Incerti tra il riso e il pianto, come spesso capita davanti a certe disarmanti vicende grilline, ieri i più hanno fatto scendere il velo dell'umana pietà sul caso di Rocco Casalino, supercapo della comunicazione di un partito (ormai lo è a tutti gli effetti) che non solo ha fatto della comunicazione la carta vincente, ma pretende di cavalcarla avveniristicamente fino alla compiuta realizzazione della «democrazia diretta del Web».

Il caso, sia detto per i più distratti, è di sconcertante banalità: un laureato in ingegneria gestionale, Casalino appunto, giornalista professionista (a proposito, sicuri che non sia iscritto anche all'albo degli ingegneri?), balzato alla notorietà con il Grande fratello e ancor più per le zuffe in tv con Platinette, oggi si ritrova a giudicare curriculum di aspiranti addetti stampa parlamentari. Peccato che lo stesso Casalino nella sua vita abbia disseminato in giro curriculum nei quali sosteneva di aver conseguito un costoso master Usa presso un'Università che neppure l'ha mai sentito nominare. Essendo la vanità uno dei mali incurabili del secolo, sarebbe persino peccatuccio veniale, se non fosse per l'arroganza e l'infantilismo delle giustificazioni addotte. Che vanno a parare su hackeraggi, complotti e manipolazioni sul Web. Di cui la Casaleggio Associati, sia detto con ammirazione e per inciso, dovrebbe essere reginetta incontrastata (almeno in Italia). Troppa distanza tra il dire e il fare, come per il caso del mancato controllo sui rimborsi dei parlamentari.

Progetti e parole che fanno talora a botte con il senso comune, lasciando la netta sensazione d'esser presi per i fondelli. Vizio che riguarda anche ambiti maggiori, a partire dal capo politico, Luigi Di Maio. Il quale ieri ha cominciato il suo personale giro di consultazioni telefoniche degli altri leader per «parlare loro con franchezza, chiarezza e onestà. A ognuno di loro dirò che noi vogliamo coinvolgere tutti in questa fasi di individuazione delle figure che presiederanno le Camere, naturalmente riconoscendo il peso specifico di ogni vincitore». A parole, tutto bene, anzi benissimo. Di Maio parla di figure di garanzia, da rintracciare con il dialogo per un «ampio consenso» e non da chiudere con il «solo accordo tra due partiti». Patto tra gentiluomini che sia, ha precisato, del tutto svincolato dal governo futuro. Ottimo.

Peccato che, dopo aver stabilito queste stupende premesse di trasparenza e democrazia, Di Maio abbia subito messo il filo spinato sui suoi paletti imprescindibili. E, pur sapendo quanto scivolosa sia la materia, passi pure il: «Noi non accettiamo né condannati né indagati per le presidenze delle Camere». Assai peggio è dire, nello stesso discorso, che la nomina dei presidenti sarà decisiva per la prima delle riforme promesse dai grillini: quella dell'abolizione dei vitalizi, da farsi semplicemente con provvedimenti interni all'amministrazione.

Sarà pure condivisibile l'intento, ma qualche dubbio ci assale. E se ci fossero forze contrarie all'abolizione dei vitalizi, cavallo di battaglia grillino? E se la figura di «garanzia» non fosse d'accordo? È lecito dettare in anticipo a un'istituzione ciò che debba o non debba fare nel proprio mandato? E se la democrazia compiuta fosse un concetto troppo fragile, sofisticato e delicato per mani così rudi da sembrare piedi?

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