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Il finto indignato Paragone ha tradito il Nord per i grillini

Da secessionista vicino a Bossi e Maroni fino al seggio da senatore regalatogli dal M5s. E fa il perseguitato

Il finto indignato Paragone ha tradito il Nord per i grillini

L a fatica, nel suo caso, non è stata farsi eleggere, ma farsi espellere. Per raggiungere questo difficilissimo traguardo, Gianluigi Paragone ha insultato nell'ordine: M5s («È morto»), Conte («Un pavone»), Di Maio («Ha paura della mia preparazione»), la ministra/probivira Fabiana Dadone («Incompatibile. I probiviri sono il nulla»). La notizia non è dunque la sua cacciata dal M5s, ma la sua inspiegabile permanenza fino a ieri. Caduto dalle nubi come Checco Zalone, dopo aver ricevuto la notifica, ha recitato la parte del mezzo sorpreso («Non può essere, no»), poi ha formulato la minaccia da finto indignato, «Vi verrò a cercare nelle aule. Sarete condannati a chiedermi scusa», infine ha promesso al M5s che non si fermerà: «Contro la meschinità del vostro arbitrio, mi appellerò».

Vuole farci credere di essere Dreyfus, il capitano perseguitato de l'Ufficiale e la Spia e Di Maio il suo aguzzino. A garantire sulla sua innocenza si sono fatti avanti l'ex ministro Barbara Lezzi e Alessandro Di Battista che su Facebook ha ieri depositato la decisiva testimonianza: «Gianluigi è più grillino di molti che si professano tali». In verità, prima di essere grillino, è stato leghista, musicista (ha fondato il gruppo Babbi di Minkia, nella maturità evoluti in SkassaKasta) direttore nientemeno che de La Padania, arcimatto nordista, conduttore Rai, in quota Lega, del programma L'ultima parola che, in fin dei conti, proprio ultima non era. Estromesso, a suo dire, dalla tv di Stato per ragioni politiche («Sono stato epurato»), è passato a La7 e si è inventato il format La Gabbia, uno zoo di sudati e spelacchiati: antivaccinisti, antieuropeisti, estremisti di ogni tipo, sanculotti in lotta contro l'ordine mondiale. In gioventù era perfino liberale, prima di proclamarsi ultimo baluardo italiano contro «la finanza neoliberista». Non poteva che finire nel M5s...

Personaggio spericolato, è stato infatti capace di rimuovere il suo passato con le sue contraddizioni. Alla direzione della Padania venne chiamato da Umberto Bossi che lo scoprì come cronista della Prealpina: «A Bossi dissi che non volevo paracadutati politici e che io non volevo diventare un parlamentare». Sono passati anni e Paragone è stato eletto senatore nella stessa maniera che detestava: paracadutato e perfino recuperato. Candidato nel 2018 dal M5s nell'uninominale, è stato bocciato dagli elettori e ripescato soltanto grazie al proporzionale. Prima di entrare nel movimento più meridionale mai registrato, consigliò al presidente Giorgio Napolitano di affacciarsi dal balcone per «guardare la secessione che si sta consumando sotto i suoi occhi». Era secessionista e vicino a Bobo Maroni. Nel 2009 era sicuramente contro il reddito di cittadinanza. Conduceva Malpensa, Italia, («Sarò il Michele Santoro di destra»), altro programma Rai dove gli operai di Termini Imerese venivano presentati come una manica di parassiti e assistiti e il Sud come irredimibile («Rispondete: è meglio convivere con la mafia come fate voi?») tanto da concludere: «Non credo che il Sud voglia cambiare testa». Ed era, ovviamente, sovranista prima di Matteo Salvini: «I calciatori stranieri sono il fallimento dello sport». Non scriveva ancora libri apocalittici, ma era un lettore attento dei pamphlet di Oriana Fallaci che voleva candidata «contro questa sinistra islamista». A maggio scorso, insieme a Di Battista, ha tentato la detronizzazione di Di Maio che però gli è clamorosamente fallita: Bruto, ma dimezzato. Scoperto, ha presentato le dimissioni, ma poi si è rimesso nelle mani di Di Maio che successivamente ha ricominciato a insolentire. Il suo futuro? Nella Lega (Giancarlo Giorgetti si oppone) o in tv («Ho già ricevuto offerte» assicura lui). Messo alla porta, pensa già a come rientrare, pronto a esibire l'espulsione come valore.

Sono i suoi disastri i suoi veri successi.

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