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Il Fisco irrompe in banca: spierà conti e carte di credito

Confermate le anticipazioni del Giornale: entro fine mese consegnati all'Anagrafe tributaria tutti i movimenti in entrata e in uscita. L'obiettivo è recuperare dall'evasione 20 miliardi di euro

Il Fisco irrompe in banca: spierà conti e carte di credito

«La pace è controllo. Questa è libertà». Tris, l'eroina di Divergent, cerca invece una propria strada verso la libertà in un mondo futuristico diviso in fazioni che cercano di sopraffarsi. Nell'Italia di oggi, invece, la libertà del contribuente è un concetto astratto perché il controllo del Fisco è onnipervasivo. La pace, però, è relativa in quanto dipende proprio dalla «convergenza» alle teorie dell'erario.Entro fine mese, secondo quanto previsto da una circolare di gennaio dell'Agenzia delle Entrate, le banche, Poste Italiane e tutti gli altri operatori finanziari dovranno consegnare all'Anagrafe tributaria (il cui nome è Sid, Sistema interscambio dati) tutti i movimenti in entrata e in uscita nonché le giacenze medie dei conti correnti. Il monitoraggio interesserà anche carte di credito, conti titoli, assegni, bonifici, prodotti finanziari (come le quote di fondi) e assicurativi, nonché beni mobili di valore come i preziosi. Un miliardo circa le posizioni sotto esame.Che differenza c'è rispetto al Grande Fratello fiscale presentato dal Giornale un anno fa? In teoria nessuna, in pratica moltissima. Se nel 2015 l'interscambio dati ha assunto una nuova veste, è da quest'anno che il sistema entra in piena attività. Insomma, il capo dell'Agenzia delle Entrate, Rossella Orlandi, potrà accedere a 128 banche dati nelle quali sarà enucleato ogni nostro vizio e ogni nostra virtù: l'anagrafe dei Comuni, il catasto, il Pubblico registro automobilistico, gli archivi Inps (assunzioni di dipendenti per le aziende ma anche quelle di colf e badanti), le Scia (segnalazioni certificate di inizio attività, di prammatica per le ristrutturazioni), i verbali delle ispezioni della Finanza e così via. Grazie ai dati sulla giacenza media e alla tracciabilità delle operazioni, però, si potrà effettivamente verificare se i nostri Unico e i nostri 730 si discosteranno, saranno «divergenti» (per citare il romanzo di Veronica Roth) rispetto al nostro tenore di vita. Un primo assaggio si è già avuto con l'Isee - l'indicatore della situazione economica - ritarato sul patrimonio immobiliare: un'innovazione che ha fatto saltare numerosi benefici per pensionati e universitari fuori sede, che hanno perso sussidi per la non autosufficienza o posti letto negli studentati a causa di una casa di proprietà.Sorvoliamo per carità di patria sulla questione privacy (il Garante ha dato l'ok perché i nostri dati sono esaminati da un ristretto numero di addetti ai lavori), l'obiettivo vero è aumentare - con le buone o con le cattive - il recupero dell'evasione fiscale a quel target di 20 miliardi di euro (14,9 miliardi il recupero nel 2015) che il ministero dell'Economia aveva fissato nel 2014. Lo Stato, in virtù delle scelte operate dal premier Matteo Renzi e dal titolare del Tesoro Pier Carlo Padoan, dispone di un armamentario invidiabile: le dichiarazioni precompilate (in cui oltre ai nostri redditi finiranno anche le spese sanitarie e da quest'anno parte anche l'Unico), le fatture elettroniche e l'accesso alle banche dati.Se non ci si uniforma, si potrà sperimentare quello che la stessa Orlandi ha definito «il lato oscuro dell'accertamento». E questo non riguarda solo le circa 465mila lettere immediatamente recapitate a chi non ha presentato la dichiarazione dei redditi, dell'Iva e gli studi di settore nel 2015. Riguarda anche le linee guida sull'incoraggiamento della compliance (cioè l'aumento spontaneo dell'autotassazione). Più ravvedimento operoso in cambio di meno blitz della Finanza in azienda o di ganasce alla propria automobile.«È giusto usare la sanzione solo dopo aver ricondotto io cittadini a fare il proprio dovere», ha commentato di recente il responsabile economico del Pd, Filippo Taddei. Peccato, però, che lo Stato - da parte sua - faccia poco per abbassare una pressione fiscale che nel 2015 si è attestata al 43,3% del Pil o, magari, per accelerare il pagamento dei 70 miliardi di debiti delle amministrazioni pubbliche.

I «divergenti» siamo sempre noi.

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