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"Follia restituirlo agli indiani: i due marò sono ancora ostaggi"

Il ministro degli Esteri che si dimise per non rispedirli in India accusa: "Sarebbe la quarta volta che glieli consegniamo. E Girone è sempre laggiù"

"Follia restituirlo agli indiani: i due marò sono ancora ostaggi"

«Latorre sarà “ostaggio” in patria a causa della garanzia di farlo tornare in India» sostiene l'ex ministro degli Esteri, Giulio Terzi, che ha gestito il caso all'inizio. «Bastava accettare l'offerta di intervento della Croce Rossa internazionale, - spiega nell'intervista al Giornale - che non ha ottenuto risposta dal governo italiano» per evitare di riconsegnare fra 4 mesi Massimiliano Latorre all'India. La strada per risolvere il caso è «avviare la procedura di arbitrato internazionale», ma secondo Terzi «felicitarsi con la giustizia ed il governo indiani significa che faremo tutto quello che ci chiedono».

Latorre torna in Italia per curarsi. Si apre uno spiraglio sul caso marò?

«Si apre uno spiraglio vero soltanto se il governo tiene fede alla strategia dichiarata da mesi a questa parte di avviare la procedura di arbitrato internazionalizzando il caso. Solo così si potrà risolvere il problema con l'India. E sorprende che il presidente del Consiglio non abbia colto l'occasione del recente vertice Nato in Galles per sollevare la questione dell'immunità funzionale, che riguarda tutti i militari dell'Alleanza impegnati all'estero».

Fra 4 mesi lo rimanderemo in India come ha fatto il governo Monti?

«Sarebbe la quarta volta: la prima sono stati fatti scendere a terra dalla nave italiana con l'avallo delle autorità militari, la seconda volta perché non c'è stata alcuna attivazione della magistratura, la terza a causa del soprassalto del governo italiano, che ha ribaltato una decisione presa collegialmente con tutti i fondamenti giuridici riconosciuti dalla comunità internazionale. E la quarta volta sarà quando Latorre si riprenderà, ma ora faccio io una domanda. È immaginabile tenere un soldato italiano e i suoi familiari in condizioni psicologiche così negative, in attesa che finiscano i 4 mesi per rimandarlo in India? È chiaro che questa vicenda deve essere risolta in modo completamente diverso. Altrimenti continuiamo a reagire in maniera sgangherata e arlecchinesca mettendoci solo delle pezze momentanee».

Non c'era un altro modo per farlo tornare senza rimanere impiccati alla garanzia del rientro?

«Il modo c'era, ma è stato colpevolmente trascurato. Bastava accettare l'offerta di intervento della Croce Rossa internazionale. Il presidente, Peter Maurer, ha scritto all'inizio di luglio una lettera al governo italiano dando la sua disponibilità in relazione al caso dei marò, prima che Latorre si ammalasse. Maurer aveva offerto i buoni uffici della Croce Rossa. La lettera, notificata attraverso i nostri diplomatici a Ginevra, è rimasta senza risposta. Alla luce di quello che è accaduto a Latorre, se la Croce Rossa fosse intervenuta non avrebbe esposto il governo italiano a garanzie di rientro, che ancora una volta possono pregiudicare la sovranità nazionale ed il giusto riconoscimento della giurisdizione italiana».

Cosa pensa del tweet del premier Renzi, che loda Delhi («Collaborazione con la Giustizia indiana e stima per il premier Modi e il suo Governo»)?

«È stata una mossa atroce. Noi siamo orgogliosi della collaborazione con la giustizia indiana, che specificamente è responsabile di aver trattenuto per quasi tre anni due nostri militari senza nessuna conclusione di indagine e addebito di prove».

E l'altro marò, Salvatore Girone, resta in “ostaggio” in India?

«Assolutamente sì, ma pure Latorre sarà “ostaggio” in patria a causa della garanzia di farlo tornare in India. Il tweet del presidente del Consiglio che si felicita con la giustizia e il governo indiani significa che faremo tutto quello che ci chiedono. Questo vuol dire che rinunciamo alla sovranità nazionale. Siamo l'unica nazione al mondo che di fronte a una controversia internazionale si rimette in modo del tutto supino alla decisione di organi giudicanti del Paese che trattiene i nostri militari».

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