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Le forzature di Ilda: così il pm ha creato accuse inesistenti

Gli errori che hanno portato alla sconfitta, dallo scippo del fascicolo alle intercettazioni rese pubbliche

Le forzature di Ilda: così il pm ha creato accuse inesistenti

Se Ilda Boccassini fosse incline alla introspezione e all'autocritica, oggi sarebbe lì, nel suo ufficio al quarto piano del palazzo di giustizia, a chiedersi: dove ho sbagliato? Ma così non è. E si può stare certi che di fronte alla sentenza della Cassazione che ha definitivamente inabissato il processo Ruby, il dubbio di avere imboccato contromano inchiesta e processo non sfiori il procuratore aggiunto. Si potrebbe obiettare che i processi si vincono e si perdono, la dialettica tra parti e giudici fa parte del sistema. Vero. Eppure non sarebbe difficile individuare uno per uno, ripercorrendo il percorso di questi cinque anni, i momenti in cui la dottoressa avrebbe potuto compiere scelte diverse, evitando di trasformare l'inchiesta sul bunga bunga in un gigantesco autogol, destinato ad alimentare da qui all'eternità la tesi di Berlusconi di venire perseguitato senza motivo dalla magistratura in generale, dalla procura milanese in particolare, ed in specifico da lei.

L'elenco delle forzature è lungo, e parte dall'inizio dell'inchiesta Ruby: quando Ilda, dopo avere saputo (non si è mai capito bene da chi) dell'esistenza di un fascicolo di indagine che lambiva il Cavaliere, se ne impossessò senza tanti complimenti, pretendendo e ottenendo di impadronirsi di una indagine che con le sue competenze, ovvero il pool antimafia, non aveva nulla a che fare. Che si sia trattato di un assegnazione illegittima ebbe a testimoniarlo davanti al Csm persino il procuratore generale Manlio Minale. Il capo di Ilda, Edmondo Bruti, se l'è cavata richiamando prassi interne non applicate in altri casi. Quel che accadde in realtà era sotto gli occhi di tutti: la Boccassini si impadronì del fascicolo col consueto garbo, nella sincera e ferma convinzione di essere l'unica in grado di portare l'inchiesta fino in fondo incastrando il Cavaliere. Non diversamente da quando nel 1994, appena tornata a Milano dalla Sicilia, si fece assegnare i fascicoli sulla Sme e sul Lodo Mondadori, che anch'essi ruotavano intorno a Berlusconi. Per la cronaca, Berlusconi venne assolto anche in quei processi.

Di certo, una volta finito nelle mani della Boccassini e della sua indubitabile determinazione investigativa, l'indagine Ruby mise il turbo, grazie a una potenza di fuoco da inchiesta antimafia. E di lì a poco il caso esplose mediaticamente, con fughe di notizie che piombarono sull'allora presidente del Consiglio con effetti devastanti. Prima l'esistenza dell'inchiesta, fino ad allora segreta, e subito dopo i contenuti degli atti processuali approdarono sulle pagine dei giornali. Ovviamente non fu Ilda Boccassini a passare le soffiate, ma non risulta che abbia preso iniziative per individuare le talpe che avevano raccontato tutto alla stampa. Fu invece sicuramente lei, d'intesa con i suoi colleghi, a prendere una decisione che finì col rendere pubblici urbi et orbi i pochi dettagli ancora non trapelati: la richiesta al Parlamento di autorizzare la perquisizione del tesoriere di Berlusconi, Giuseppe Spinelli, allegando alla richiesta centinaia di pagine di succulente intercettazioni telefoniche. La richiesta venne respinta mesi dopo, ma intanto le telefonate del bunga bunga erano finite sui siti di tutto il mondo.

A ben vedere, tutto nasce da lì: dall'irruenza con cui Ilda Boccassini irrompe sulla scena dell'inchiesta e la fa sua, decisa a chiudere il conto. E nell'irruenza costella la strada di mosse che risulteranno fatali all'indagine. Come quando chiede il giudizio immediato per Berlusconi, con l'obiettivo di saltare le pastoie dell'udienza preliminare e di portare l'imputato a processo in mondovisione finché il ferro è caldo: ci riesce, convincendo un giudice che la prova della colpevolezza è «evidente», anche se - come si è visto l'altra sera - evidente non era affatto. Ma nella furia dimentica, come spesso le accade, di approfondire gli aspetti giuridici dell'inchiesta, temi come la qualificazione del reato o i requisiti soggettivi che in un processo penale non sono proprio bazzecole. Non si rende conto che il processo nasce zoppo, perché manca un elemento cruciale, la prova che Berlusconi conoscesse la vera età di Ruby quando la ricevette ad Arcore. E mentre si prende la briga di scavare sulla vita delle Olgettine non si accorge che il Parlamento le ha cambiato la terra sotto i piedi, modificando in corso di processo il reato di concussione: tanto che concluderà la sua requisitoria senza neanche spiegare al tribunale per quale reato vuole che Berlusconi sia condannato, costringendo i giudici a una irrituale richiesta di chiarimenti.

Insomma, la solita Boccassini, un panzer nell'inchiesta, poco amica delle sfumature, e alla fine votata all'ennesima sconfitta dal suo stesso furore agonistico. Da cui si lascia trascinare anche nel momento più delicato, la requisitoria in cui rifila a Ruby Rubacuori una accusa tanto geograficamente che politicamente scorretta, quando la accusa di «furbizia orientale».

Ecco, Ilda Boccassini è (anche) questa.

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