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Fronda, Verdini e trivelle. Le tre spine per Renzi

L'ex premier Letta torna all'attacco del suo successore: "Dovrebbe includere non cacciare pezzi di partito". Resa dei conti alla direzione Pd di domani

Matteo Renzi, Presidente del Consiglio
Matteo Renzi, Presidente del Consiglio

La minoranza anti-Renzi del Pd torna a sperare. Ieri sulle colonne del Corriere della Sera è riemerso dall'esilio parigino Enrico Letta, menando fendenti contro il premier che lo ha soppiantato a Palazzo Chigi, e le sue parole sono state interpretate come un primo passo verso quel ritorno in campo che in molti gli hanno chiesto in queste settimane per dare più forza e credibilità alla guerriglia anti-renziana. Insomma, il «rancoroso club delle Prime Mogli», come lo chiama un esponente vicino al premier, si arricchisce di un nome che in molti giudicano più spendibile e attrattivo di quelli di Speranza o Bersani, in vista delle prossime battaglie: dalle amministrative (da far perdere a Renzi) al referendum costituzionale di ottobre (idem) al congresso del Pd.

Letta spiega che Renzi sbaglia tutto: in Europa (dove a suo parere si è fatto soffiare «la leadership dalla Merkel», mentre evidentemente quando era al governo lui la Germania non toccava palla); in Libia (dove il problema dell'intervento bellico «dobbiamo porcelo») e ovviamente in Italia («Vedo che l'economia si è fermata, serve un'operazione verità») e nel Pd. Nel quale, secondo Letta, c'è «il rischio di una crisi insanabile», una vera «crisi di valori, comportamenti e prospettive» mentre il segretario-premier non capisce che gli spetta «l'onere dell'inclusione e non quello di cacciare un pezzo di Pd». Accusa continuamente reiterata dalla fronda e che manda in bestia il premier: «Ma chi ha mai cacciato qualcuno? Io mi limito a chiedere lealtà a chi sta nello stesso mio partito. Mi sembra il minimo. Invece loro passano il tempo a sparare contro il leader del Pd e il governo del Pd più di Brunetta o Di Maio».

A Letta replica soavemente Maria Elena Boschi, ricordando che «con lui il Pil era al -1,9%, noi abbiamo chiuso il 2015 con +0,8%». Ma alla vigilia della Direzione Pd di domani, che si preannuncia burrascosa e alla quale la minoranza si presenterà armata di trivelle e di sentenze giudiziarie contro Verdini, l'esternazione lettiana surriscalda ulteriormente la temperatura interna. «E sarà sempre più così, di qui all'autunno», ammette sconsolato uno dei massimi dirigenti Pd, «il trio D'Alema-Bersani-Letta cercherà di esasperare sempre più il clima e farà di tutto per farci male. Stanno già cercando l'alibi per mettersi di traverso anche sul referendum costituzionale: vedrete che alla fine si schiereranno per il no, con Salvini e Grillo». E in effetti le avvisaglie ci sono: per appoggiare il referendum Bersani ha messo una serie di condizioni «talmente surreali che neppure le prendiamo in considerazione», dice la stessa fonte. E Letta manda a Renzi un ambiguo avvertimento: «Non mi sento di criticarlo per aver deciso di investire su questo tema. Lo stesso fece Berlusconi sul referendum del 2006.

Anche se poi lo perse».

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