Cronache

"Furti in casa poco gravi". Salvato il ladro romeno. Non può essere espulso

La sentenza choc della Cassazione: «Non c'è minaccia concreta ai diritti fondamentali»

"Furti in casa poco gravi". Salvato il ladro romeno. Non può essere espulso

Tenetevelo, dice la Cassazione. Per due volte i giudici di Milano avevano condannato un romeno che aveva come unico mezzo di sostentamento i furti, specialmente negli appartamenti, che per questo era stato espulso dall'Italia, e che se ne era serenamente infischiato, tornando nel nostro Paese. Ma per la Cassazione il rumeno non poteva e non doveva essere espulso. Un ladro che entra in casa di un comune cittadino - magari anziano, quasi sempre di notte - per i giudici della Suprema Corte non mette in pericolo l'incolumità delle sue vittime e pertanto, anche se colto in flagrante e condannato, ha tutto il diritto di continuare a starsene in Italia. Unica condizione: che sia cittadino comunitario. E la Romania, come è noto, fa parte dell'Unione europea.

Cavilli comunitari a parte, quel che colpisce nella sentenza depositata ieri è la valutazione dei furti in appartamento come un crimine soft, un delitto a basso impatto. Proprio mentre il Parlamento si prepara a modificare l'articolo del codice penale sulla legittima difesa, garantendo sempre e comunque il diritto di reagire con le armi alle incursioni nel proprio domicilio, la Cassazione prende una direzione opposta. Eppure magistrati non sospettabili di simpatie forcoleghiste come quelli di Milano avevano ritenuto che ci fossero tutte le condizioni per rispedire il giovanotto in patria.

Il signor Vasile Arcu nell'agosto del 2014 era stato espulso dall'Italia con provvedimento del prefetto di Piacenza «per motivi di sicurezza pubblica, trattandosi di persona senza stabile attività lavorativa che traeva il proprio sostentamento da reati contro il patrimonio». Due mesi dopo, però, Vasile viene fermato mentre si aggira per Milano come se niente fosse. Arrestato e condannato con rito abbreviato. Presenta ricorso, e il 19 giugno 2017 la Corte d'appello di Milano conferma la condanna: l'espulsione era legittima, Vasile doveva andarsene, tornando in Italia ha commesso un reato.

Il romeno non si dà per vinto, e tenta l'ultima carta: ricorso in Cassazione. E ieri la Prima sezione penale deposita la sentenza che gli dà ragione, annullando senza rinvio le decisioni dei giudici milanesi. Non ci sarà un nuovo processo, il signor Vasile è salvo. Nelle motivazioni, la Cassazione scrive che «il decreto prefettizio di espulsione per i cittadini appartenenti alla Comunità europea può essere emesso solo per il pericolo di commissione di reati contro la persona e la pubblica incolumità», mentre Vasile è stato condannato solo per reati contro il patrimonio.

L'aspetto singolare è che per accogliere il ricorso del romeno la Cassazione sintetizza un po' il testo della legge, secondo cui in realtà i «motivi imperativi di pubblica sicurezza» che giustificano l'espulsione scattano quando «la persona da allontanare abbia tenuto comportamenti che costituiscono una minaccia concreta, grave ed effettiva ai diritti fondamentali della persona» e «la sua ulteriore presenza sul territorio è incompatibile con la civile e sicura convivenza». A giustificare l'espulsione non sono quindi solo l'omicidio e i ferimenti, ma tutti quei reati che colpiscono i «diritti fondamentali della persona». Se la norma fosse stata riportata per intero, sarebbe stato difficile negare che tra i diritti di un cittadino non ci sia anche quello di dormire serenamente nel suo letto senza ricevere la visita di un ladro; e altrettanto arduo affermare che questi reati siano i migliori ingredienti di una «civile e sicura convivenza».

Così la Cassazione ha preferito riassumere la legge a modo suo.

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