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Un «genio democratico» consacrato da Mazzini

di Nello straordinario saggio poi tradotto e raccolto nell'edizione nazionale degli Scritti con il titolo La pittura moderna italiana , apparso negli anni dell'esilio londinese sul prestigioso foglio del liberalismo radicale inglese, il «London and Westminster Review» tra il gennaio e l'aprile del 1841, Giuseppe Mazzini pensava che nell'Italia contemporanea, diventata per gli osservatori stranieri la «terra dei morti», soffocata da un passato troppo grande e irraggiungibile, la pittura, dopo un periodo di profonda decadenza che aveva coinciso con l'età neoclassica, fosse risorta grazie a quello che si accingeva a consacrare come il «genio democratico» di Hayez, «un grande pittore idealista italiano del secolo XIX», il «capo della scuola di Pittura Storica che il pensiero Nazionale reclamava in Italia», «l'artista più inoltrato che noi conosciamo nel sentimento dell'Ideale che è chiamato a governare tutti i lavori dell'epoca».

Ne riconosceva senza riserve l'originalità, quando affermava che la «sua ispirazione emana direttamente dal proprio Genio», e la capacità di aver saputo interpretare, come Byron e come i maggiori letterati e musicisti italiani del tempo, Foscolo, Manzoni, Rossini, Donizetti, le aspirazioni e le angosce dell'età romantica.

Mazzini rivendicava il respiro europeo della pittura di Hayez e ne ribadiva il primato, del resto come vedremo già affermati da Stendhal quando, in una lettera inviata dall'Isola Bella il 17 gennaio 1828 all'amico Alphonse Gonsollin, l'aveva ritenuto «le premier peintre vivant», citando uno dei dipinti fondamentali, quella prima versione di Pietro l'Eremita del 1827-1829, poi interpretato in maniera magistrale dal grande esule che ne fece, insieme a Gli abitanti di Parga che abbandonano la loro patria del 1826-1831, l'opera chiave per capire l'ideologia e la poetica dell'artista completo per quel tanto che i tempi lo permettono: che si assimila, per riprodurlo in simboli, il pensiero dell'epoca, quale esso s'agita compresso nel seno della nazione; che armonizza il concetto e la forma: idealizza le sue figure senza falsarle; crea protagonisti, non tiranni: fa molto sentire e molto pensare.

Per Mazzini Hayez è interprete davvero universale e vicino al popolo, quasi un vate perché il posto che gli spetta è fuori di quelle sfere; è quello della Storia. Trattata dal punto di vista dell'avvenire. Là, è grande e solo: lo storico della razza umana, e non di qualcuna delle sue individualità preminenti. Nessuno fin qui, tra i pittori, ha sentito come lui la dignità della creatura umana, non quale brilla agli occhi di tutti sotto la forma del potere, del grado, della ricchezza o del Genio, ma quale si rivela agli uomini di fede o di amore, originale, primitiva, inerente a tutti gli esseri che sentono, amano, soffrono e aspirano, secondo le loro forze, con la loro anima immortale. In mezzo alle mille forme umane, che la storia evoca, variate, ineguali, attorno a lui, egli domina, sacerdote del Dio che penetra, riabilita e santifica tutte le cose. E l'opera sua è la Consacrazione della Vita.

*Curatore della mostra «Hayez» alle Gallerie d'Italia - Piazza Scala di Milano

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