Cronache

Genova, la città degli sfollati Banditi anche dalla Gronda

L'opera per supportare il ponte è rimasta sulla carta E così 35 aziende hanno già preso un'altra strada

Genova, la città degli sfollati Banditi anche dalla Gronda

L e due palazzine sono vuote. Gli ingressi murati. Solo silenzio. Marco Colombi, pensionato, per un attimo si commuove: «Io e mia moglie abbiamo abitato in questa casa per trentacinque anni. Era la nostra vita, nel quartiere di Bolzaneto». Ma la Gronda premeva e il tracciato della mitica Tangenziale che dovrebbe liberare Genova dalla morsa di un traffico insostenibile passa proprio sui due edifici. «L'imbocco della Galleria che dovrebbe collegare Bolzaneto a Voltri è proprio alle spalle del nostro palazzo. Cosi alla fine dell'anno scorso ce ne siamo andati, insieme a tante altre famiglie».

Si, lontano dai radar dell'opinione pubblica, c'è stato a Genova un secondo esodo, parallelo a quello provocato dal disastro del Ponte Morandi. Ci sono gli sfollati di via Porro e via Fillak, 600 persone costrette a lasciare di corsa tutte le proprie cose per i contorcimenti del gigante ferito a morte; e poi ci sono gli sfollati della Gronda, l'opera di cui si parla da troppi anni e che avrebbe dovuto alleviare le pene del viadotto, sfinito dall'immane fatica quotidiana, come ha detto il procuratore Francesco Cozzi.

Chissà, avessero realizzato la Gronda, forse il Morandi sarebbe ancora in piedi. Chissà. E invece la storia è finita, almeno per il momento, con gli sfrattati del Ponte, fra lutti e rovine, e con gli sfrattati della Gronda, un fantasma sempre evocato ma che non c'è.

Cento famiglie lungo il percorso che trapassa la città, più di 35 aziende che hanno fatto fagotto e se ne sono andate a cercare fortuna altrove. Con uno strepitoso termine burocratico li chiamano gli «interferiti» e pure loro, come gli inquilini di via Porro, sono stati indennizzati con un costo per la comunità di 50 milioni di euro.

«Siamo stati trattati in modo più che dignitoso, siamo stati aiutati dalle istituzioni, in particolare dalla Regione Liguria - aggiunge Colombi - Certo, gli espropri sotto il moncone del Morandi sono stati pagati di più, sopra i 2000 euro al metro quadro, ma nessuno si lamenta. Va bene cosi, loro hanno vissuto un trauma, sono stati costretti a scappare da un giorno all'altro, noi no. Abbiamo avuto il tempo di metabolizzare questo strappo che pure resta doloroso. Era dal 2009 che sapevamo che prima o poi il giorno dell'addio sarebbe arrivato».

Pochi metri più in là, sempre all'imbocco virtuale del futuribile tunnel c'era e c'è ancora il capannone della Ceam, un'azienda di tende da sole, cresciuta poi nelle coperture per barche. Giorgio Frulla sparge ottimismo controcorrente: «La Regione non ci ha mai abbandonato e ci ha risarcito scrupolosamente. A settembre, dopo tre mesi di faticosi preparativi, mi sono trasferito con i miei dodici dipendenti dalle parti di Genova Est. Stiamo meglio, in un posto più grande e più bello, non rimpiangiamo il passato». Nessuna polemica e nessun risentimento: «Gli sfollati di via Porro hanno ricevuto tutta l'attenzione possibile ed è giusto che sia andata cosi, come è giusto che abbiano ricevuto risarcimenti più alti per le sofferenze patite. Ma l'importante è che a tutti, a noi come a loro, siano state date le chiavi per costruire il proprio futuro».

La frustrazione semmai è quella di tornare in pellegrinaggio in questi palazzi per scoprire che il tempo si è fermato. Nemmeno un cantiere, nemmeno una ruspa, nemmeno un operaio. La Gronda - 72 chilometri di rete autostradale, 10 anni di lavori e un conto superiore ai 4 miliardi - è impigliata, dopo il dramma dell'anno scorso, nei balbettii di questo governo e nel furore pauperista del duo Toninelli-Di Maio. «Ho incontrato tutte le famiglie degli interferiti, cosi come quelle che vivevano sotto il Morandi e con tutte abbiamo trovato una soluzione - spiega l'assessore Giacomo Giampedrone - ma resta la beffa».

Il Morandi non c'è più, la Gronda c'è solo sulla carta.

Nel giorno di un anniversario terribile, un oltraggio in più alla città che soffre.

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