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Gentiloni prende coraggio: "M5s non mi spaventa affatto"

Il premier: «Non avrebbe i numeri per governare». E corre in un collegio blindato ma senza paracadute nel listino

Gentiloni prende coraggio: "M5s non mi spaventa affatto"

Muoia Sansone con tutti i filistei. Ha tutto il sapore della chiamata di correo, la strategia perseguita in queste settimane dal segretario del Pd, Matteo Renzi, da ieri anche «capo politico» della lista presentata a pochi minuti dalla chiusura dei termini. Volta a ottenere dal premier Gentiloni il traino decisivo per una campagna elettorale che stenta a decollare, la pressione esercitata da Renzi su premier e ministri nei fatti significa trincerarsi dietro i risultati (se non altro di credibilità) ottenuti dal governo del successore, non potendo vantare lo stesso per il proprio. Ma significa anche - cosa che non sfugge certo a Gentiloni - che un risultato negativo, personale o complessivo, azzererà del tutto il gruppo dirigente. Tutti sul banco degli imputati, nessuno escluso.

Il via libera di Gentiloni, arrivato in sintonia con il Quirinale, ha posto però almeno una condizione. Quella di gareggiare solo nel collegio «naturale» del conte Gentiloni Silverj, ovvero Roma 1, tradizionale fortino dei salotti refrattari alle destre come alle sirene grilline. Buona tenuta alle Politiche, unico municipio ad attribuire un vantaggio al pidino Giachetti nei confronti della Raggi (almeno al primo turno, mentre al secondo ci fu un clamoroso sorpasso con oltre tremila voti di scarto), unica zona ad attribuire uno striminzito un per cento in più al Sì nel referendum di Renzi (altrove fu valanga di No). Ma Gentiloni fa bene a non fidarsi troppo: non ancora sperimentati sono i meccanismi del Rosatellum e, anche se il collegio ha mantenuto i consueti confini, non sarebbe la prima volta che sfornerebbe sgradite sorprese agli eredi di Pci e Dc. Una per tutte, quando nel '94 Berlusconi sbaragliò l'economista Spaventa messo in campo dalla gioiosa macchina da guerra d'Occhetto. Non dando nulla per scontato, e se non cambierà idea in extremis, il premier rinuncia al «paracadute» proporzionale: mossa che potrebbe preludere, in caso di Caporetto del partito, a un «tirarsene fuori» in vista di rivolgimenti futuri. Il premier vede larghe intese dopo-voto, come in Germania. Anche perché, sostiene in un'intervista sul Foglio, «M5s non ci deve spaventare, anche con un risultato significativo non avrebbe i numeri per governare. Nessuno, fuori dall'Italia, è preoccupato o crede che possa arrivare al governo». Riguardo al centrodestra, Gentiloni immagina che Berlusconi «non riesca più a domare il populismo della Lega». Nel passato, ricorda, il rapporto «era 37,2 a 8 per cento per Berlusconi. In quel contesto poteva funzionare, oggi no».

Nella guerra di nervi che si profila, dentro e fuori un Nazareno ormai allo sbando, visti i sondaggi e la popolarità in caduta libera del segretario, ieri anche il ministro Franceschini ha rotto gli indugi, annunciando la corsa nel collegio di Ferrara. Escluso però che possa rinunciare anche lui al «paracadute». Altro ministro superpressato da Renzi è Padoan, che ieri qualche ben infornato dava per «sicuro» nell'uninominale a Siena, proprio nel collegio dello sconquasso Mps. Più che una profferta amorevole, l'invito a comparire davanti al plotone d'esecuzione. Resiste Marco Minniti, asserragliato nel Viminale: dice che un ministro dell'Interno costretto a fare propaganda sarebbe di pessimo gusto. Per lui, come per la Boschi e Lotti, dovrebbe perciò scattare la speciale «deroga» dettata dall'impresentabilità.

Ovviamente per motivi ben diversi.

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